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Reddito di cittadinanza, Giuseppe Conte difende il sussidio per salvare la poltrona

Riccardo Mazzoni
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L’ultimo pronunciamento di Conte sul reddito di cittadinanza assomiglia molto a un ruggito del coniglio, il tentativo di piantare la sua bandiera di capo su un Movimento che in larga parte non lo riconosce come tale, come ha dimostrato plasticamente la ritirata strategica – e obbligata – sulla nomina del nuovo capogruppo al Senato. Secondo l’ex avvocato del popolo “le destre si sbracciano per colpire uno strumento di sostegno a lavoratori sottopagati, persone in povertà, minori, fragili, disabili”. Mentre “strizzano l'occhio all'evasione fiscale da oltre cento miliardi l'anno che noi abbiamo combattuto con programmi come il Cashback. Non esibiranno mai questo scalpo, si mettano l'animo in pace”.

Ma difendendo lo scalpo del reddito di cittadinanza, in realtà Conte cerca soprattutto di salvare il suo, scegliendo però, ancora una volta, gli esempi sbagliati. Che il sussidio grillino sia un feticcio indifendibile non lo dicono infatti solo “le destre”, ma i dati dei Carabinieri e della Guardia di Finanza: quarantotto milioni di euro finiti nelle tasche sbagliate sono un’enormità che non si può occultare come se nulla fosse, perché è una cifra ancora del tutto provvisoria, destinata a lievitare in modo esponenziale con l’aumento dei controlli.

E il bilancio delle truffe allo Stato emerse dagli accertamenti delle Fiamme Gialle - 15 miliardi sottratti nei due anni della pandemia – è un illecito esorbitante, con la sottolineatura rivelatrice secondo cui la platea è aumentata con l'introduzione del reddito di cittadinanza, ritenuto dunque una vera e proprio calamita di illeciti. Così come è assurdo rivendicare il Cashback, una misura-flop costata miliardi alle casse dello Stato, che non ha ridotto affatto l’evasione fiscale e favorito solo i più ricchi. Non a caso è stato abolito e depennato dal Pnrr di Draghi, mentre in quello di Conte il bonus sui pagamenti digitali valeva la metà della spesa per innovare la Pubblica Amministrazione.

L’ennesima conferma della dissociazione dalla realtà di un Movimento che, ancorato all’ideologia della decrescita felice, ha imposto provvedimenti demagogici e dannosi come il decreto dignità, una deriva le cui cause sono state ben descritte dal presidente di Confindustria Bonomi quando ha detto che “bisognerebbe avere l'umiltà di ascoltare chi il lavoro lo crea, magari da parte di chi non ha mai lavorato un giorno in vita sua". Con un corollario di profondo scetticismo anche sul tentativo in atto di far funzionare il collegamento tra sussidio statale e politiche attive: "Si vogliono stanziare quattro miliardi per centri pubblici di impiego, ma io credo che nessun imprenditore cerchi così i propri collaboratori”.

Draghi ha scelto di rifinanziare il Reddito di cittadinanza per il 2021, ma con una serie di limitazioni che dovrebbero portare – a regime -a un taglio tra un miliardo e un miliardo e mezzo rispetto all’andamento tendenziale degli esborsi. Una sforbiciata che deriverà dall’introduzione di correttivi alle modalità di corresponsione e dal rafforzamento dei controlli. Un giro di vite sull’erogazione era inevitabile, visto che lo stillicidio quotidiano di illeciti sta diventando una valanga insopportabile.

Mentre il Paese è ancora alle prese con le ricadute dell’emergenza Covid lo Stato non può certo ignorare le povertà vecchie e nuove, ma bisogna prendere atto che il reddito di cittadinanza non è riuscito ad intercettare la maggioranza dei veri indigenti, tagliando fuori troppe famiglie in povertà assoluta e penalizzando i poveri del Nord, dove il costo della vita è di molto superiore. Allo stesso tempo il sussidio è stato invece percepito da una consistente fascia di non poveri, per non parlare di pregiudicati, immigrati irregolari, capiclan e possessori di Ferrari. Se la parte assistenziale ha rivelato troppi buchi neri, quella relativa all’inserimento lavorativo ha totalmente mancato gli obiettivi, con una percentuale di inclusione assolutamente irrisoria e la proliferazione del lavoro nero. Siamo dunque di fronte a uno strumento che va totalmente ripensato: non ha senso rivendicare ideologicamente la falsa bontà di un fallimento. Ma è l’unica arma di cui dispone Conte: la propaganda.

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