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Mario Draghi premier fino al 2023: perché non c'è alternativa

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Fabrizio Cicchitto
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Visto l'esistenza di una notevole confusione politica conviene partire dai problemi reali che stanno sul tappeto. Dopo l'ottimismo facilone sparso anche in Italia (sono ancora fresche d'inchiostro le polemiche sull'eccessiva restrizione che caratterizzava la nostra politica sanitaria messa a confronto con le aperture altrui) oggi in Russia, nell'Europa del Nord, in Germania, in Romania, in Bulgaria, in Gran Bretagna è partita la quarta ondata.

Fortunatamente l'Italia del Nord si trova oggi in una situazione migliore sia rispetto a quella in cui si trovò nella metà del 2020, sia nei confronti di altre regioni italiane, sia, appunto, rispetto alla tanta magnificata Europa del Nord e alla Gran Bretagna. Ciò è dovuto al fatto che in Italia del Nord si è verificata un'autentica unità nazionale sul tema della vaccinazione e del green pass: i governatori della Lega del Nord in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia-Giulia (Fontana, Zaia e Fedriga), quello di Forza Italia in Piemonte (Cirio), quello di centrodestra della Liguria (Toti), quello del Pd dell'Emilia-Romagna (Bonaccini) sono stati molto rigorosi ed efficienti sui vaccini e sul green pass, d'intesa con gli imprenditori e gli operai delle grandi, medie e piccole imprese che attraverso l'euro (vero Bagnai e Borghi?) lavorano come fornitori e subfornitori con le aziende tedesche.

Su questa linea il governo Draghi sta seguendo una politica rigorosa che evidentemente ha sfasature inevitabili vista la complessità della questione e l'estrema imprevedibilità di tanti comportamenti individuali. Per tutto ciò che riguarda la grande partita riguardante la ripresa economica, il Pnrr e i rapporti con l'Europa il governo Draghi sta facendo tutto quello che è possibile nelle condizioni date. Invece sta emergendo in tutta la sua gravità un problema messo in evidenza ieri dal nuovo sindaco di Napoli Manfredi: il Sud rischia di non essere in grado di investire le enormi risorse che gli derivano dal Pnrr.

Veniamo ai problemi politici. Dalle evidenti sofferenze e contraddizioni esistenti sia nel centrosinistra che nel centrodestra ricaviamo una conseguenza di fondo, apparentemente ovvia ed elementare: è auspicabile che il governo Draghi rimanga in carica senza se e senza ma fino al 2023. Se viene meno il governo Draghi il rischio è che salti tutto per aria e che si vada a elezioni anticipate nel 2022 con uno scontro cieco di tutti contro tutti mentre salta la realizzazione del Pnrr, si alzano gli spread e i tassi d'interesse dei btp.

Paradossalmente a mettere in evidenza ulteriormente il rischio è stato proprio il ministro Giorgetti che ha indicato l'obiettivo di segno opposto, cioè quello della elezione immediata di Draghi a presidente della Repubblica (mentre invece, a nostro avviso, Giorgetti ha detto cose ragionevoli sui rapporti fra la Lega e il Ppe). Siccome il semipresidenzialismo senza una riforma costituzionale è impossibile, quello di fatto ipotizzato da Giorgetti è impraticabile: già oggi vediamo che solo una persona di grande autorità e prestigio come Draghi riesce con fatica a padroneggiare le spinte contraddittorie espresse da Salvini, Enrico Letta, Conte e quant'altri, figurarsi che succederebbe con presidenti di tutto rispetto, ma di ben altra caratura come Franco e come la Cartabia.

Nel bel mezzo di una conflittualità al limite dell'ingovernabilità Draghi presidente della Repubblica dovrebbe ogni giorno intervenire per mediare, sopire, spiegare, telefonare all'Europa: un pasticcio politico-istituzionale che andrebbe per aria dopo qualche mese. In secondo luogo di grazia chi potrebbe assicurare l'elezione di Draghi in una situazione nella quale nessuno potrebbe a sua volta assicurare la certezza della continuità della legislatura fino al 2023? Chi potrebbe assicurare questa certezza? Forse dei capi partito nervosi e confusionari come Enrico Letta e Conte? O esplicitamente favorevoli a elezioni anticipate come Giorgia Meloni? O oscillanti e imprevedibili come Salvini?

In un contesto di questo tipo il rischio che Draghi faccia la fine di Marini e di Prodi a nostro avviso è molto elevato e comunque non gli consiglieremmo di prendersi un rischio così elevato che poi si tradurrebbe in un disastro non solo per lui, ma per l'Italia nel suo complesso. Infine emergono elementi politici preoccupanti sia nel centrosinistra che nel centrodestra.

Da un lato il Movimento 5 stelle è chiaramente allo sbando: Conte esprime una ambiguità politica derivante dalla totale assenza di linea politica e di strategia complessiva; Enrico Letta si sta esibendo in una permorfance francamente imbarazzante sulla legge Zan: un segretario del Pd fanatico del gender e della facoltà dei giudici di colpire la libertà di opinione è agli antipodi del garantismo e del riformismo e anche della accortezza politica e tattica sul terreno dell'elezione del presidente della Repubblica: in nome del gender e non della tutela ai gay condivisa anche da larga parte del centrodestra egli ha scomunicato Italia Viva e Forza Italia e comunque è andato incontro a uno smacco del tutto prevedibile nel voto del Senato.

Per quello che riguarda il centrodestra nell'immediato tutto tace per favorire il legittimo tentativo di eleggere Berlusconi presidente della Repubblica. Una volta però che questa questione sarà risolta (ci auguriamo in modo positivo) il problema della collocazione internazionale del centrodestra nel suo complesso, se vuole mantenere l'unità interna, rispetto alle elezioni del 2023 è destinato a porsi.

Una domanda conclusiva: davvero Matteo Salvini e Giorgia Meloni pensano di poter governare l'Italia qualora nel 2023 il centrodestra vinca le elezioni in rottura con la Francia, con la Germania, con il Ppe, con l'Unione europea che conta e in compagnia di un accrocco di partiti sovranisti che poi nella sostanza sono in contrasto con l'Italia sia sulla ripartizione delle quote degli immigrati, sia sull'impostazione di fondo della politica economica che essi contestano per la sua attuale linea espansiva? Francamente su questo nodo abbiamo l'impressione che Giorgetti ha posto male un problema giusto. 

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