Una montagna di soldi privati per salvare il pianeta, ma la finanza verde non sia speculativa
L’astronomica somma di 100 mila miliardi di dollari messi a disposizione (per ora senza far conoscere le condizioni) da 450 circa tra banche e società non finanziarie, facenti parte di 45 Paesi, per la transizione ecologica nei prossimi trenta anni è una notizia importante, ma che alimenta pure un certo scetticismo sulle quantità, i modi, i tempi, le destinazioni. È opera, nell’ambito delle iniziative di Cop 26, di quella che è denominata la «Glasgow financial alliance for net zero» presieduta da un delegato dell’Onu, Mark Carney, già Governatore della Banca d'Inghilterra. La finanza è stata più volte sollecitata, anche dal Premier Mario Draghi a intervenire nelle azioni di contrasto dei mutamenti climatici e a sostenere gli obiettivi di decarbonizzazione, a partire da quelli fissati per il 2030, e per promuovere sistemi di produzione e di consumo che sostanzino una svolta verde. Un coordinamento, a livello internazionale, tra «pubblico» e «privato» è assolutamente necessario, s’intende nella chiarezza degli obiettivi e dei modi per conseguirli. La mobilitazione in questione, insomma, non va sottovalutata, ma nel contempo va sottolineato come piani a così lunga scadenza, senza disporre neppure, per ora, delle informazioni elementari sopra richiamate, devono essere accolti con ampio beneficio d’inventario.
"Azioni immediate sul clima". Per Draghi è un successo
Cruciale sarebbe un monitoraggio annuale sull’attuazione dei piani che vengono varati, sulla base di requisiti e criteri da definire e da rendere pubblici, come pubblici dovrebbero essere i risultati dei controlli, mirati pure a impedire o sanzionare il cosiddetto «greenwashing», il finto ambientalismo, quello di facciata, un imbellettamento che serve ad acquisire meriti infondati e a conseguire vantaggi di immagine. Poi non basta mettere a disposizione ingenti risorse - sempreché questa operazione sia chiarita - per iniziative che altri realizzano o sono sollecitati a realizzare: è l’operare complessivo di ciascuna banca e società che deve osservare le regole per la riduzione delle emissioni e per l’obiettivo carbonico. Non si dovrebbe poter agire in un modo con la mano destra - mettendo risorse a disposizione - e in un altro con la sinistra - disattendendo in sede propria i vincoli della svolta ambientale e l’impatto dell’attività di una banca o di una società sul cambiamento climatico.
Il medico indagato per i green pass falsi a cena con il commissario Figliuolo
Si prevede, tra l’altro, al riguardo dalla Fondazione (Ifrs) che controlla i criteri contabili e la loro attuazione in un numero rilevanti di Paesi l’introduzione di standard di sostenibilità e di altri criteri alla luce dei quali andrebbero valutati i bilanci e le diverse rendicontazioni. Vedremo quale sarà l’evoluzione di questi impegni. Intanto, è fondamentale ribadire che bisogna acquisire sempre più consapevolezza dei rischi di catastrofi ambientali. Nel contempo, le azioni per prevenirli e contrastarli devono essere massimamente trasparenti, controllate, rispondenti a criteri che dovrebbero essere fissati, prima ancora che da organi volontariamente incaricati come del resto l’Ifrs, dalle istituzioni preposte alla legislazione, a cominciare dagli organi dell’Unione. È un campo di attività di enorme sviluppo. Bisogna evitare che diventi un campo esclusivamente di enormi affari che poco si diano cura della transizione verde.
Ci prendono per gretini: il G20 a Roma un summit solo di parole