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Scintille nel Carroccio, la Lega si spacca sulla Ue

Angela Barbieri
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«Se vuole istituzionalizzarsi in modo definitivo, Matteo Salvini deve fare una scelta precisa». Nel giorno in cui il segretario della Lega incontra a Pistoia il presidente del Brasile Jair Bolsonaro, tornano a galla le frizioni col suo vice Giancarlo Giorgetti. Stavolta, a poco più di un mese dall’ultimo scontro sulle candidature del centrodestra per le amministrative, il ministro dello Sviluppo Economico si sofferma sulla futura collocazione del partito in Europa. Il titolare del Mise, che ha le idee chiare su quale dovrebbe essere la posizione del Carroccio, non usa troppi giri di parole: «Capisco la gratitudine verso la Le Pen, che dieci anni fa lo accolse nel suo gruppo. Ma l’alleanza con l’AfD non ha una ragione».

Ecco quindi che per Giorgetti, la svolta europeista di Salvini «è un’incompiuta». «Ha certamente cambiato linguaggio. Ma qualche volta dice alcune cose e ne fa altre. Può fare cose decisive e non le fa» confessa a Bruno Vespa nel libro "Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)". Insomma, Giorgetti ha in mente una Lega nel Ppe, «perché io non ho bisogno di un nuovo posto. Io voglio portare la Lega in un altro posto». Ragionamento che tuttavia non coincide con quello di Salvini che, a margine dell’inaugurazione di una nuova sede del partito a Pistoia, ribadisce il suo obiettivo: «Stiamo lavorando per un grande gruppo che metta insieme il centrodestra in Europa. Non è nessun vecchio gruppo».

Due linee contrapposte, anche se Giorgetti preferisce parlare, «al massimo, di sensibilità diverse. Amando le metafore calcistiche, direi che in una squadra c’è chi è chiamato a fare gol e chi è chiamato a difendere. Io, per esempio, ho sempre amato Andrea Pirlo. Qualcuno deve segnare, qualcuno deve fare gli assist». «Lei mi chiede - dice ancora il ministro a Vespa - se io e Salvini riusciremo a mantenere un binario comune. Continueremo a lavorare così finché il treno del governo viaggia veloce, altrimenti rischiamo noi di finire su un binario morto». «Il problema - insiste - non è Giorgetti, che una sua credibilità internazionale se l’era creata da tempo. Il problema è se Salvini vuole sposare una nuova linea o starne fuori. Questa scelta non è ancora avvenuta perché, secondo me, non ha ancora interpretato la parte fino in fondo». All’attacco segue un suggerimento: «Matteo è abituato a essere un campione d’incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar. È difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso. I western stanno passando di moda».

Non tutti però nella Lega la pensano come Giorgetti. Ad esempio il deputato Claudio Borghi su Twitter "cinguetta" in maniera criptica che «sono passati 51 anni da "Lo chiamavano Trinità" e ancora adesso se lo riguardo con mio figlio ci divertiamo un mondo. Sono passati pochi anni da "I segreti di Osage County" e secondo me non se lo ricordano più nemmeno quelli che l’hanno girato, anche se c’era Meryl Streep». A buon intenditor poche parole.

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