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G20 Roma, gli elogi di Biden non ci incantino. Draghi conti solo sulle sue forze

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Angelo De Mattia
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Joe Biden ha elogiato Mario Draghi e il Governo per il nuovo modello economico che stanno promuovendo dimostrando così anche l'efficacia dei sistemi democratici. C'è da essere contenti di questo apprezzamento, benché non sia mai fugato il rischio, in questi casi, che sia una sorta di elogio del «supervisore», soprattutto perché al lusinghiero giudizio ha fatto seguito la grande stima manifestata nei confronti della Francia di Macron, il Paese nella circostanza considerato dal Presidente americano come il primo alleato degli Usa.

Tutto ciò serve a confidare ancora una volta sulle proprie forze e a dare un equilibrato valore a giudizi della specie. Anche perché il riferimento al nuovo modello non si vorrebbe che finisse con il coincidere con il nuovo modello di sviluppo di cui si è parlato spesso, in passato, in maniera generalgenerica, in qualche caso non sapendo neppure di cosa si trattasse e senza verifiche della sua concreta attuazione.

Se si fa riferimento alle dichiarazioni, queste non mancano nelle posizioni che vengono rappresentate dal Premier: solidarietà, equità, coesione sociale, crescita equa e sostenibile, sono i principi frequentemente richiamati. La giusta valorizzazione del multilateralismo richiede, per essere una valida aspettativa, di essere integrata con la progettazione di norme e di istituzioni globali che siano adeguate al bisogno di cooperazione internazionale. Nuove regole e nuove istituzioni o il rafforzamento di quelle esistenti sono fondamentali per un nuovo ordine internazionale. È qui che bisogna incidere.

Non si può pensare a tale obiettivo con il «Gruppo dei trenta» o con Bilderberg. Quanto al Governo, esso va giudicato per quel che concretamente fa, non essendo l'Esecutivo un luogo dove si elaborano temi acroamatici. Se si esamina la proposta, formulata, dal Governo, riguardante la manovra di bilancio per il 2022 non vi è granché di deduzione in opere dei pensieri anzidetti che rimangono ancora come principi. Abbiamo visto la non decisione sulla destinazione degli 8 miliardi di riduzione fiscale (a fronte di complessivi 12 miliardi) allocati in un fondo ad hoc e trasferendo l'esclusiva responsabilità della scelta della destinazione specifica al Parlamento. Per le pensioni è stata decisa, ancora una volta, una misura transitoria.

Ora si prospetta l'esame, dopo diversi rinvii a partire dai primi dello scorso mese di luglio, della riforma della disciplina della concorrenza. Dovrebbe trattarne il Consiglio dei Ministri di giovedì, 4 novembre. Si arriva, però, a questa data senza che il Governo abbia chiarito la propria posizione sull'altro «polo» dell'argomento, il ruolo della mano pubblica per quel che riguarda il governo dell'economia, fondamentale per inquadrare la concorrenza, ma anche perché la disciplina di quest'ultima, insieme con quella delle imposte e delle pensioni, possa rispondere anche ai principi sopra richiamati, evitando affermazioni sbrigative e poco fondate ascoltate negli anni passati secondo le quali la concorrenza sarebbe di sinistra e comunque avrebbe una funzione totalmente rigeneratrice dell'economia, anche se resta una importante regolamentazione.

I rinvii verificatisi sinora sarebbero prevalentemente addebitabili alle scelte da compiere per la concessione di parti del demanio marittimo, per le licenze per il commercio degli ambulanti, per una serie di altre concessioni, a cominciare da quelle idroelettriche, e per le gare ai fini della gestione di servizi, in specie del gas. Resterebbe la necessità di un approfondimento per le attività da eseguire «in house» da parte degli enti territoriali.

L'ultima legge sulla concorrenza- che avrebbe dovuto essere annuale - rimonta al 2017. Il Governo giustifica i ritardi pure con la motivazione di dovere attendere sulla materia una decisione dell'Autorità giudiziaria in un procedimento in corso: in tal modo, l'Esecutivo e, soprattutto, il Legislativo si subordinano, in un campo che invece é loro proprio, dovendosi agire «de iure condendo», al Giudiziario. Non si direbbe nulla poi, nella proposta, sul ruolo delle Authority in generale e, in particolare, di quelle di regolazione, essenziale per bilanciare, controllare e tutelate concorrenza e consumatori.

Sarebbe o sarebbe stata l'occasione per procedere a una necessaria riforma delle Autorità di garanzia, regolazione e controllo che, invece, sarebbe o sarebbe stata sprecata. Torna qui l'eluso problema del rapporto tra «pubblico» e «privato», tra intervento dello Stato e concorrenza.

Se, insomma, fosse confermata una tale mancanza, alimenterebbe un rilievo in più sull'astrattezza della declamate solidarietà ed equità che restano, ad oggi, una «campana sine pistillo». Speriamo che per giovedì il quadro cambi, se non altro per dare un fondamento all'aspettativa di un nuovo modello e non per attuare le prescrizioni dell'Unione. Le scelte da compiere debbono avere una loro validità e rispondere a esigenze avvertite innanzitutto in Italia, non al ripetuto «ce lo chiede l'Europa».

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