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Il Pd punta su Gentiloni ma quanti fantasmi sulla scalata al Quirinale. "Conflitti di interesse", il retroscena

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Caro direttore, il Conte Paolo Silveri Gentiloni di Filottrano ama le spa tirolesi che profumano di spighe. Ne avrà bisogno per smaltire la rabbia dopo che il concitato Carlo Calenda, non si sa se per fargli un piacere o un dispetto, lo ha candidato al Quirinale dove oggi lo vedrebbe bene anche Sergio Mattarella da quando ha realizzato che Marta Cartabia, la "cocca del Colle", difficilmente potrà farcela.

 

Gentiloni, detto "er moviola" (copyright Paolo Mieli), per avere chance dovrà dribblare un po’ di fantasmi del passato. Da Bruxelles, dove è riparato come Commissario europeo, si sta costruendo un monumento che passa da Washington, Parigi e Berlino. Lodi continue dall’ambasciatore francese Christian Masset, memore di quando da Premier voleva regalare un pezzo di mar ligure a Parigi, e dall’ufficio internazionale della cancelleria tedesca a Berlino. Ma soprattutto a Washington dove può contare su Joe Biden per il quale, come ha twittato commosso, si è «abbracciato da solo» il giorno dell’elezione e su John Kerry, folgorati entrambi dall’ambientalismo da salotto sin da quando Gentiloni andava a braccetto negli anni 80 con "l’evergreen" Ermete Realacci.

 

Anche se può contare sulla Casa Bianca, che come abbiamo visto non ha portato granché fortuna a "Giuseppi", le centrali dell’intelligence, con la CIA in prima fila, non perdonano "er moviola" di essere andato da Premier in Cina a baciare la pantofola a Xi aprendo di fatto la "Via della Seta", auspicando così «una rete globale di infrastrutture che agevolino gli scambi fra Europa e mercato asiatico». Come dire, un calcio negli stinchi. Peccato per lui, però, che a votarlo davvero saranno i grandi elettori italiani. Per ora può contare certamente sui voti di Filippo Sensi, che l’ha preferito a Matteo Renzi, di Michele Anzaldi e di Luigi Zanda. La beniamina Lorenza Bonaccorsi, invece, è precipitata in un Municipio di Roma: un po’ poco per incidere. Ma i veri spettri risiedono all’interno del Grande Raccordo Anulare, in particolare a piazza Monte Grappa e a via Barberini dove lavorano i due fedelissimi Alessandro Profumo e Alessandra Dal Verme. Il primo, dopo aver mollato MPS tra polemiche e inchieste, ora sta replicando le brillanti performance in Leonardo tanto che, dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini al gran capo di CDP Dario Scannapieco, spingono perché tolga il disturbo.

 

Al Demanio, motore del PNRR, grazie alla coppia d’oro Draghi-Giavazzi è riuscito a piazzare addirittura sua cognata Alessandra Dal Verme. Una nomina denunciata in più interrogazioni parlamentari perché in pieno conflitto d’interesse per il grado di parentela tra un Commissario europeo e un dirigente che deve istruire i progetti per accedere ai fondi. Ma c’è di più. Tra le prime decisioni della Dal Verme, quella di rimuovere due dirigenti chiave dell’Agenzia, quello della Regione Lazio Giuseppe Pisciotta e quello di Roma Capitale Antonio Fichy proprio coloro che avrebbero dovuto gestire i 20 milioni di euro e di beni confiscati a Luigi Lusi, tesoriere della Margherita di cui Gentiloni è stato non solo fondatore ma anche percettore, secondo Lusi, in piena legittimità, di circa 200 mila euro di spese per la campagna elettorale. Il Demanio è al centro di polemiche feroci anche con il Quirinale, il Mef e il ministero della Giustizia: con il Colle per la ristrutturazione di un immobile in via della Dataria che gli uffici del segretario generale Ugo Zampetti hanno secretato, circostanza bocciata in nome della trasparenza dall’ex capo dell’Anac Raffaele Cantone; con il Mef per la polemica scoppiata con i fondi immobiliari per la scadenza degli affitti di oltre 500 immobili pubblici di gran pregio, questione su cui i direttori generali Paolo Puglisi e Filippo Giansante hanno investito il ministro Daniele Franco.

Ma è sui cosiddetti poli giudiziari, a partire da quello di Bari dove Alessandra Dal Verme ha rimosso il direttore centrale delle gare Massimo Gambardella, che il conflitto di interesse tra Gentiloni e la cognata rischia di far saltare una cospicua quota del Recovery plan destinata all’Italia. Un gran pasticcio per il quale la Dal Verme, che sta attribuendo una serie di incarichi di struttura senza alcuna selezione pubblica tanto da aver attirato l’attenzione della Corte dei Conti, punta molto sulla collaborazione di una vecchia gloria di Palazzo Chigi ai tempi di Renzi, l’indefessa vigilessa Antonella Manzione che ha fatto carriera e ha ormai ben tre cappelli: contestata Consigliera di Stato, capo Ufficio legislativo della Ministra Bonetti e ora pure di casa al Demanio. Basterà la vigilessa ad allontanare da Gentiloni i fantasmi del passato, il conflitto di interessi e farlo volare al Quirinale? Con un discendente del famoso patto Gentiloni del 1914, tra iliberali di Giovanni Giolitti e l'Unione Elettorale Cattolica Italiana, mai mettere limiti alla provvidenza.
 

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