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Nelle scelte su previdenza e fisco l'uomo solo al comando non risolve. Draghi ascolti partiti e sindacati

Angelo De Mattia
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Per un Governo che non molti giorni fa aveva lanciato l’obiettivo di un «patto sociale» e aveva cercato di avviare un’imitazione, «mutatis mutandis», della concertazione voluta nel 1993 da Carlo Azeglio Ciampi, l’ipotesi di una rottura con i sindacati non sarà indolore. Certamente, non può dirsi che ciò sia inevitabile, essendo sempre possibile, con impegni seri, quanto meno una tregua «in extremis» in relazione alle incombenti scadenze internazionali. Del resto, l’anomalia di una previsione di 8 miliardi per l’abbassamento delle tasse, che nella ipotesi di legge di bilancio si tradurrebbe in un fondo ad hoc senza specificare però le destinazioni delle risorse, lasciando al dibattito parlamentare l'indicazione, paradossalmente si presta a un confronto con le parti sociali sia pure «ex post» e nella consapevolezza che, con il fondo indistinto, l'Esecutivo rinuncia al suo potere - dovere di proposta. Il fatto è che adesso Draghi e i Ministri, con i contrasti che si stanno sviluppando su quel che si profila con la predetta legge, sulle pensioni e sul fisco, sono davanti a una vera questione politica a tutto tondo, mai finora incrociata.

 

 

Quando sono prevalsi gli aspetti tecnico-economici, anche per lo stesso Piano di ripresa e resilienza, pur trattandosi di impegni rilevanti, poteva essere meno complicato, imperante pure il ruolo di Bruxelles, trovare una intesa politica e sociale. Per lo stesso passaggio niente affatto indolore della riforma della giustizia, il rinvio alle norme di attuazione ha stemperato i contrasti, già di per sé non aspri. Ora, invece, con pensioni, fisco e la dimenticata riforma della concorrenza oggetto, quest'ultima, di ripetuti rinvii, siamo al dover prendere atto dell’inesistenza di «pasti gratis» e, dunque, al cuore delle scelte che un Governo deve compiere tra i ceti attuali e tra questi e le generazioni future. E se ha scelto il «patto sociale», se elogia la coesione, è difficile, alla prima messa in prova, dimenticarsene. Non si tratta, come scrive qualcuno, di condizionare il Premier e ciò dopo averne magnificato nelle settimane scorse le straordinarie capacità taumaturgiche; altri sostengono, invece, di evitare di delegare tutto a Draghi. I partiti non possono essere visti come ostacoli (si pensi al discorso del presidente della Confindustria Bonomi ai giovani industriali) né come esclusivi portatori di bandierine da ammainare.

 

 

È in ballo il modo in cui si governa e in cui si media in una fase in cui non può dirsi che permanga, integro, lo «stato di eccezione». La ricerca di una convergenza su di una organica riforma della previdenza dopo un diluito periodo di transizione (e non il mero ripristino della legge Fornero) potrebbe aiutare, verificando quelle che sono le alternative proposte dai sindacati e, più in generale, dalle diverse parti sociali. Questo non è il terreno nel quale, a differenza di altre misure, si possa pronunciare, dal Governo, l’infausta frase «tireremo dritto». Ma pure su altre questioni, benché di non pari rilievo, ma certamente complesse e importanti, qual è , per esempio, il futuro del Montepaschi occorre un approccio ben diverso da quello dell’uomo solo al comando. Si deve dimostrare di possedere, nel vivo dei processi, l’«ars reipublicae regendae». Gli «ottimati» sono tali alla prova dei fatti, non per unzione divina.

 

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