scontro sui diritti civili
Tutto previsto: addio al ddl Zan. Disfatta totale per il Pd di Letta e la sinistra
Fine corsa per il Ddl Zan. Il disegno di legge contro l’omotransfobia, approvato nel novembre dello scorso anno alla Camera, è rimasto vittima al Senato della tanto temuta «tagliola». La richiesta di non passaggio agli articoli presentata da Lega e FdI ha infatti ottenuto 154 voti favorevoli a fronte di 131 contrari (2 gli astenuti). Il voto segreto richiesto dai senatori Roberto Calderoli e Ignazio La Russa, e ammesso dalla presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati non senza critiche da parte di Pd, M5S e LeU, ha lasciato mano libera ai «franchi tiratori» comportando così l’affossamento di un testo su cui centrodestra e centrosinistra si sono dati battaglia per mesi senza trovare un’intesa. Il Pd proprio all’ultimo, e temendo di non avere i numeri come poi si è verificato, ha cercato una mediazione in extremis schierando in campo direttamente il «papà» del ddl, ovvero Alessando Zan, il quale non può che essere amareggiato per l’esito della partita. «È una pagina nera per la nostra democrazia e i diritti» confessa il deputato dem, sottolineando il dato che «purtroppo una forza politica si è sfilata dalla maggioranza». «FI si è compattata con la destra sovranista - aggiunge - per un gioco legato alla partita del Quirinale».
E ad andare con la mente all’elezione del presidente della Repubblica è anche il deputato di LeU ed ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, secondo cui quanto accaduto può considerarsi «una prova generale per il quarto scrutinio per il Quirinale. È tempo che il campo progressista prenda piena coscienza della situazione». Al centro di tutto ci sono ovviamente i numeri. Secondo quanto si apprende il Pd pensava di poter contare su 145 voti, a fronte dei 140 ipotizzati per il fronte del centrodestra pro-tagliola. A conti fatti invece al centrosinistra mancano all’appello una quindicina di voti, finiti nel campo avversario. Un «travaso» che fa scattare l’allarme nella coalizione, e allo stesso tempo consente a Matteo Salvini e Giorgia Meloni di cantare vittoria. «Sconfitta l’arroganza di Letta e dei 5 Stelle - attacca il segretario del Carroccio - Hanno detto di no a tutte le proposte di mediazione, comprese quelle formulate dal Santo Padre, dalle associazioni e da molte famiglie, e hanno affossato il Ddl Zan. Ora ripartiamo dalla proposta della Lega: combattere le discriminazioni lasciando fuori i bambini, la libertà di educazione, la teoria gender e i reati di opinione». Soddisfatta anche la presidente di FdI che vede calare il sipario su «una follia firmata Pd-5S di cui l’Italia non aveva alcun bisogno».
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Per Enrico Letta il voto di Palazzo Madama sul Ddl Zan, che adesso teoricamente dovrebbe tornare in Commissione Giustizia tra minimo sei mesi, rappresenta invece un brusco stop. «Hanno voluto fermare il futuro. Hanno voluto riportare l’Italia indietro - scrive su Twitter il segretario dem - Sì, oggi hanno vinto loro e i loro inguacchi, al Senato. Ma il Paese è da un’altra parte. E presto si vedrà». Quello che si è visto, di certo, è che alla fine si è materializzato lo scenario indicato da Matteo Renzi, tra i quattro assenti negli scranni di Italia Viva e per questo attaccato da Fedez: «Ma il Renzi che si proclamava paladino dei diritti civili è lo stesso che oggi pare sia volato in Arabia Saudita mentre si affossava il Ddl Zan? Gran tempismo». Il leader di Iv, anche a distanza, tiene però il punto con i suoi: «Per mesi ho chiesto di trovare un accordo per evitare di far fallire il ddl Zan. Hanno voluto lo scontro e queste sono le conseguenze. Chi polemizza sulle assenze dovrebbe fare i conti con i 40 franchi tiratori. La responsabilità di oggi è chiara: e dire che per Pd e Cinque Stelle stavolta era facile, più facile dei tempi di "O Conte o morte". Non importava conoscere la politica, bastava conoscere l’aritmetica». Rintracciare chi ha votato assieme al centrodestra per far scattare la «tagliola» è comunque un esercizio praticamente impossibile a causa del voto segreto. Un rebus che alimenta sospetti nel centrosinistra, ma anche all’interno dei singoli partiti. L’unica cosa certa sono infatti le assenze al momento del voto: nessuna nel gruppo di FdI, 2 nella Lega e nel Pd, 3 in Forza Italia (con la senatrice Barbara Masini che ha votato in dissenso dal gruppo), 4 in Iv e nel M5S, uno in quello Per le Autonomie, e 16 nel Misto. «Purtroppo c’è anche qualcuno che non ci ha messo la faccia, quindi questo la dice lunga sulla sensibilità per i diritti civili» l’amara riflessione del presidente del M5S, Giuseppe Conte, che chiude una giornata nera per il centrosinistra.