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Fumata nera con Mario Draghi sulle pensioni. Sindacati pronti allo sciopero: solo una mancia

Filippo Caleri
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Nella tarda serata di ieri quando i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil escono da Palazzo Chigi la delusione, anzi l’inquietudine, per un confronto con il premier Mario Draghi che non ha portato praticamente a nulla, è palpabile. I soldi messi sul piatto sono una mancia: 600 milioni. Nulla di più. E solo per dare un po’ di ossigeno all’allargamento delle categorie che rientrano nell’Ape social e il rinnovo di Opzione donna. Nessuna indicazione sul superamento di Quota 100 per la quale l’unica cosa sicura è che sarà messa in pensione alla fine dell’anno. Dunque la scalone, cioè il passaggio dei requisiti contributivi da 62 anni e 38 di contributi a 67 di età anagrafica, per ora resta. «Nessuna risposta a chi ha versato per 41 anni i contributi a prescindere dalla età anagrafica. Non ci sono risposte sulla necessaria riforme complessiva» spiega il leader Uil, Pierpaolo Bombardieri al termine dell’incontro certificando il fallimento del confronto. Così come nella migliore tradizione sindacale si minaccia la guerra.

 

 

Dopo il via libera al provvedimento, previsto per giovedì, i sindacati valuteranno «come dare luogo a una fase di mobilitazione a sostegno delle nostre rivendicazioni» incalza Luigi Sbarra della Cisl. Le posizioni al tavolo sono chiare, non c’è una rottura choc. Sbarra parla di «luci e ombre», ma le distanze restano. Dopo un’ora e mezza Draghi lascia il tavolo «per impegni» mentre restano i tre ministri Orlando, Franco e Brunetta, spiega palazzo Chigi, aggiungendo che si riprenderà comunque domani per «approfondire alcuni aspetti specifici». Ma è un bluff. La circostanza è smentita dai sindacati: nessuna convocazione ufficiale. Oggi si tiene un incontro con i segretari generali della confederazione europea e la segretaria mondiale nell’ambito della discussione del G20 con i ministri del Lavoro. La porta resta aperta «se il governo ci vuole chiamare prima di giovedì noi siamo pronti, siamo pronti giorno e notte, è il nostro lavoro - assicura il leader Cgil Maurizio Landini-. Noi riteniamo che ci sono cose che devono cambiare, vediamo quello che succede altrimenti valuteremo unitariamente come procedere». Il premier Mario Draghi aveva parlato esplicitamente, la scorsa settimana, della necessità di un ritorno alla normalità, sia pure in maniera graduale. Oggi, nell’accogliere in sala verde i tre confederati ha ribadito come la sostenibilità del sistema pensionistico sia un obbligo per l’Italia, Paese ad alto debito che vede in seria difficoltà non solo il lavoro dei giovani ma pure il loro futuro. Tradotto in parole povere: ogni ipotesi di tornare a un sistema diverso dal contributivo è una pazza idea senza fondamenta.

 

 

La partita è difficile e, soprattutto, la coperta è corta: nel documento programmatico di bilancio, che fa da cornice alla manovra, il governo ha stanziato per il capitolo pensioni 600 milioni il prossimo anno, 450 nel 2023 e 510 nel 2024. Cifre confermate nel corso del confronto. I sindacati incassano con favore il prolungamento a tutto il 2022 di opzione donna e l’ampliamento di Ape sociale, misure su cui si era fortemente speso il ministro del Lavoro Andrea Orlando, ma «non c’è una scelta sulla riforma delle pensioni, né 102 e 104, non ci sono risposte a chi ha versato per 41 anni i contributi a prescindere dall’età né sulla necessità di una riforma complessiva delle pensioni». Il superamento di quota 100 agita anche la maggioranza. Non è un caso che mentre a Chigi il premier, con i ministri Orlando, Franco e Brunetta, si confrontano con i leader confederali dalla Lega fanno trapelare di non aver mollato l’idea «quota41», ovvero la possibilità di lasciare l’impiego dopo 41 anni di contributi. E fonti della Lega confidano in un rovesciamento di fronte entro giovedì strappando al premier un passaggio graduale verso la Fornero con Quota 103 nel 2022 (62 anni di età e 41 di contributi) e 104 nel 2023 (63 di età e 41 di versamenti). Complessivamente la legge di bilancio vale all’incirca 23 miliardi per il 2022, di cui 8 destinati al fisco. «Per noi quei soldi devono andare ai lavoratori -ribattono i sindacati - dopo aver dato fondi a soldo perduto, durante la pandemia, alle imprese ora è il turno dei lavoratori, bisogna intervenire sul cuneo fiscale». Oggi è l’ultimo giorno per ragionare.

 

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