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Unicredit-Mps, la Borsa boccia il divorzio

Leonardo Ventura
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La prima risposta che arriva dai mercati allo stop delle trattative tra Tesoro e Unicredit sulla cessione di Mps è negativa. Il titolo della banca presieduta da Pier Carlo Padoan ha chiuso a -1,72%, a 11,334 euro. Ma con il tonfo di Mps, la seduta per la banca guidata da Andrea Orcel era iniziata cedendo il 2,95% a 11,192 euro. In chiusura il titolo dell’istituto di credito di Siena ha lasciato sul terreno il 2,38% a 1,0465 euro. Nel pomeriggio Mps aveva ridotto notevolmente le perdite, arretrando alle 14.07 di poco più dell’1%, a 1,058 euro, dopo che, all’inizio della sessione, era affondato di oltre il 7,5%. La sospensione al ribasso dell’azione era scattata quasi subito dopo il comunicato sul flop delle trattative sul Monte. Osservati speciali in Borsa sono stati anche i bond subordinati emessi dall’istituto, abbattuti dalle vendite con perdite fino a oltre -19%. A pesare i timori per l’incubo burden sharing, per il rischio di una penalizzazione a cui gli azionisti e obbligazionisti detentori di bond subordinati verrebbero sottoposti, in mancanza di una soluzione di mercato. Lasciati gli operatori a leccarsi le ferite restano le ipotesi su quanto avverrà nelle prossime settimane.

Non è ancora detto che per Unicredit sia chiusa la partita Mps. Anche se l’annuncio dello stop alle trattative tra Piazza Gae Aulenti e il Tesoro sull’istituto di Siena sembra aver mandato in soffitta l’ipotesi, per gli esperti è ancora presto per archiviare definitivamente il capitolo. Unicredit resta infatti la migliore tra le ipotesi in campo per Siena e non è detto che un piano «stand alone» di Rocca Salimbeni sia vantaggioso per il Mef. Tra gli scenari disponibili per Siena, oltre alla ricerca di nuovi acquirenti, rimarrebbe infatti solo il modello stand-alone. Al Mef si respirerebbe «ottimismo» circa la possibilità che venga concessa da parte della Commissione europea una proroga per cedere la maggioranza pubblica del Monte oltre il termine concordato, ovvero l’approvazione del bilancio 2021 in primavera, secondo indiscrezioni stampa. Un’eventuale proroga servirebbe per lanciare un aumento di capitale pubblico o privato e permettere a Mps di andare avanti da sola ancora un po’. Sarebbe quindi lo Stato a dover intervenire ulteriormente, oppure un’altra banca. Fonti vicine al dossier spiegano che il costo per lo Stato, nel primo caso, sarebbe piuttosto oneroso. Sommando il costo di esuberi, aumento di capitale, cessione degli Npl ad Amco e altri oneri si arriverebbe a una stima di circa 11 miliardi di euro di costo, 4 in più rispetto a quanto chiesto da Unicredit. Anche qualora il Mef riuscisse a ottenere una proroga da Bruxelles e si aprisse il negoziato con un altro gruppo, perché questo dovrebbe negoziare a una cifra più bassa rispetto a quella chiesta dall’istituto guidato da Andrea Orcel? L’asticella fissata da Unicredit costringerebbe qualsiasi altro manager a motivare in maniera più approfondita qualsiasi valutazione al ribasso di Siena. Banco Bpm - il cui nome era circolato per partecipare a uno spezzatino con Unicredit - ha smentito ad esempio il suo interesse e al momento non vi sarebbe nessun altro disponibile a sedersi al tavolo della trattativa. Dieci giorni fa, secondo quanto si apprende, vi sarebbe stato un incontro tra il ceo del Banco, Giuseppe Castagna, il presidente Massimo Tononi e il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera circa la possibilità di acquisire una parte degli sportelli. Ma fonti vicine alla banca smentiscono l’incontro e affermano che l’istituto non sarebbe interessato alla partita. Circola anche l’ipotesi acquisizione da parte di un istituto straniero. Ma alcuni esperti fanno notare che lo scenario - per questioni di tempistiche - riguarderebbe solo un istituto che avesse già una licenza bancaria in Italia, come Crédit Agricole o Bnl.

Intanto il ceo di Unicredit nega qualsiasi futuro spiraglio sull’operazione. Dopo diversi mesi, «molte discussioni» e «un accurato processo di due diligence» il gruppo è arrivato «alla conclusione che le condizioni da cui dipendeva l’accordo non possono essere soddisfatte», ha scritto Orcel in una lettera indirizzata ai propri dipendenti. «È per questo che, a partire da ieri - domenica 24 ottobre - interrompiamo ufficialmente il coinvolgimento di Unicredit in questa operazione». Uno stop categorico, dunque, motivato dal fatto che «è nostro dovere - prosegue - identificare opportunità che siano in linea con la nostra strategia e che rappresentino la cosa giusta per Unicredit; allo stesso modo, è nostro dovere non coglierle in mancanza di determinati presupposti». Il manager ha ricordato che Unicredit ha «mantenuto la parola data, spingendo sempre al massimo per portare a termine con successo l’operazione».

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