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Alta tensione Draghi-Salvini sulle pensioni dopo la rottamazione di Quota 100

Antonella Scutiero
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Cantiere manovra in piena attività in vista della definizione della legge di bilancio, attesa in Consiglio dei ministri la prossima settimana. Uno dei principali terreni di scontro resta il capitolo pensioni, dopo le parole del premier Mario Draghi che ha definitivamente mandato in soffitta quota 100 per un «graduale ritorno alla normalità» che pone il problema di come organizzare questo ritorno alla normativa precedente, con ipotesi che circolano tra i palazzi e sui giornali di quote «provvisorie» a 102 e 104 su cui arriva l’altolà Cgil: coinvolgerebbero solo 10 mila persone circa, dunque è una misura «sostanzialmente inutile». «Ho scritto al presidente Draghi e sono a disposizione per incontrarlo da oggi in avanti quando vuole, perché sarebbe un errore rifinanziare il Reddito di cittadinanza e tagliare le pensioni», avvisa il leader della Lega, Matteo Salvini, «se non vuoi chiamarla Quota 100 e vuoi chiamarla con un altro nome va bene ma l’importante è che dal primo gennaio non ci siano scalini o scaloni, riavvicinamenti della Fornero. Deve essere garantito il diritto alla pensione dopo una vita di lavoro ai precoci, alle donne, ai lavoratori usuranti, ai dipendenti di piccole e media imprese». E insiste: «Intervenire a gamba tesa sulle pensioni non mi sembra il modo migliore per fare rialzare il Paese anche perché ricordo che quota 100 ha dato lavoro a centinaia di migliaia di giovani».

 

 

Una tesi confutata ripetutamente dal leader degli industriali, Carlo Bonomi, che dal meeting dei giovani di imprenditori a Napoli ha ribadito come quota 100 «è costata tanto e non ha raggiunto gli obiettivi, non c’è stato nemmeno un effetto sostituzione». Per Bonomi «abbiamo nove sistemi di prepensionamento, ognuno lascia un debito a carico dei giovani e neanche creando nuovi posti di lavoro, è un effetto perverso». La strada da seguire sembra piuttosto quella dell’ampliamento dell’Ape sociale - e magari il rifinanziamento di opzione donna, suggerito a gran forza dal Pd e dal ministro Orlando - in un dialogo con il governo «costante» all’interno di rapporti definiti «ottimi». «C’è un tema di lavori usuranti su cui lavorare riaggiornando le tabelle con le esigenze dell’organizzazione del lavoro moderna, lo scalone va evitato ma la soluzione non sono le quote», ribadisce il numero uno di viale dell’Astronomia. Per cui comunque il problema è più ampio del solo nodo pensionistico e riguarda «l’assalto alla diligenza» dei partiti, quelle «bandierine che spesso depreco come nefaste per il Paese» e che sono, lo ha ripetuto più volte nella tre giorni partenopea, quota 100 appunto, ma anche il reddito di cittadinanza che «così com’è non funziona, ma ci si vuole mettere un altro miliardo prima di riformarlo». I freni alla crescita, insiste, «sono figli di una lunghissima stagione in cui politica e rappresentanza degli interessi hanno preferito scambiarsi microfavori, sostenersi a vicenda, invece che avere una visione sul futuro». Ecco perché «dobbiamo sostenere con forza il governo Draghi, quando i partiti tentano di portarlo su una strada sbagliata dobbiamo difenderlo perché sarebbe preludio di altri interventi sbagliati».

 

 

Dove sono i giovani nella manovra? Chiede Bonomi alla platea, insistendo che bisogna puntare «tutto sulla crescita» perché senza «Next generation Eu rischia di essere un debito a carico di questi ragazzi». La raccomandazione è investire sul taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori per rilanciare la domanda interna e sulla decontribuzione per le imprese per renderle competitive: «Ci sono 8 miliardi per il fisco, non abbiamo capito come». E sul punto insiste anche il leader della Lega: «Chiederemo al governo che gli 8 miliardi di taglio di tasse diventino anche di più, a partire dai più colpiti dal Covid, quindi partite Iva, autonomi, liberi professionisti, artigiani, commercianti».

 

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