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Superlega, la guerra di Mario Draghi alla Juve: il governo al fianco dell'Uefa nel processo

Carlantonio Solimene
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Il romanista Mario Draghi dichiara guerra alla Juventus. A voler essere maliziosi, potrebbe essere questa la lettura della decisione del governo italiano di costituirsi al fianco della Uefa nel procedimento che davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione europea opporrà la Federazione sportiva ai club calcistici che, nella scorsa primavera, avevano provato a dar vita alla contestatissima Superlega: un torneo internazionale al quale avrebbe potuto prendere parte un gruppo di poche e selezionate società senza - soprattutto - che fossero previsti meccanismi di accesso e di retrocessione. In realtà la faccenda è più complessa.

Il governo italiano, infatti, era l'unico tra i più importanti partner europei a non aver ancora compiuto questo passo. E la decisione è arrivata in extremis, nell'ultimo giorno utile per costituirsi nel processo.

Una mancanza che ieri aveva provocato le forti critiche del presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, dell'Ad della Lega di Serie A Luigi De Siervo e, in ultimo, del presidente del Coni Giovanni Malagò. La vicenda è giudiziariamente intricata. Tutto prende le mosse da quando, a metà aprile, un gruppo di dodici club dell'élite calcistica europea annuncia la nascita di un nuovo torneo - la «Superlega» appunto - sul modello dell'americana Nba di basket: il nodo centrale è che a gestire il giro d'affari conseguente saranno gli stessi club fondatori e non - come accade per tutte le competizioni calcistiche in Europa - la Uefa.

Per l'Italia i club coinvolti sono Juventus, Milan e Inter. L'annuncio, però, dura lo spazio di un giorno. La presa di posizione fortemente contraria di alcuni governi - il britannico di Boris Johnson, innanzittutto, e poi anche l'Italia di Draghi - unita alle proteste dei tifosi, causano una rapida retromarcia dei club coinvolti, che uno a uno si sfilano. Tutti, tranne tre: Real Madrid, Barcellona e Juventus. A quel punto comincia la partita giudiziaria, con le società «su perstiti», guidate dal presidente madrileno Florentino Perez, che si rivolgono al tribunale della capitale spagnola per opporsi alle sanzioni imposte loro dall'Uefa (multe milionarie per le «pentite», esclusione dalle coppe per le residue «ribelli»).

A Madrid, i tre club ottengono una vittoria. Il giudice, infatti, ordina alla Uefa di ritirare le sanzioni chiamando in causa la violazione, da parte della Federazione, delle regole Ue sulla libera concorrenza.

L'Uefa non ci sta e chiede la ricusazione del giudice per presunte irregolarità nel suo pronunciamento (avrebbe impiegato solo 24 ore per esaminare la memoria difensiva della Federazione di 1.600 pagine). Lo stesso giudice, per difendersi, chiama in causa la Corte di Giustizia europea. Sentenza prevista, se va bene, nel 2023.

Così si arriva all'oggi. Cioè a ieri. Quando per tutto il giorno si scatenano le voci sui motivi del mancato appoggio dell'Italia alla Uefa. Appoggio che sembrava scontato dopo il tweet del profilo ufficiale di Palazzo Chigi a caso appena esploso: «Il Governo segue con attenzione il dibattito intorno al progetto e sostiene con determinazione le posizioni delle autorità calcistiche italiane ed europee per preservare le competizioni nazionali, i valori meritocratici e la funzione sociale dello sport». Invece i giorni passavano e l'Italia continuava a latitare.

Nel frattempo, si erano schierati con la Uefa Spagna, Francia, Danimarca e altri dodici Paesi (manca la Germania, impegnata nelle trattative per la formazione del nuovo governo. Nessun club tedesco, peraltro, aveva aderito alla Superlega). Nella serata di ieri, in zona Cesarini, anche Draghi ha però sciolto le riserve.

Restano le domande sui motivi del ritardo italiano. Magari ci sarà stata qualche remora a mettersi contro un club che in Italia è legato a un grande potentato economico e anche a un importante gruppo editoriale finora piuttosto allineato alle politiche di Palazzo Chigi.

Di certo, nel cambio di linea finale, non avrà pesato il contestatissimo esito della sfida ci campionato tra Juventus e Roma. Da tifoso giallorosso, Mario Draghi non avrà gradito la direzione dell'arbitro Orsato. Ma difficilmente legherebbe una decisione così pesante a motivi campanilistici. O forse sì?

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