Al centrodestra serve una fase ri-costituente
Le elezioni appena conclusesi hanno registrato un astensionismo di dimensione allarmante che rischia di depotenziare la rappresentanza democratica. Se una componente maggioritaria della popolazione rinuncia ad integrarsi nel momento sorgivo della democrazia, che si irradia dal pronunciamento elettorale, potrebbe radicarsi quel circuito distorsivo di autoreferenzialità politica che è la principale causa della passività partecipativa.
I partiti novecenteschi avevano un elettorato fidelizzato dalle appartenenze ideologiche che stabilizzavano gli orientamenti di voto in un contesto iperpoliticizzato, mentre oggi i movimenti politici sono plasmati dai loro leader sempre più vincolati al quotidiano con la conseguente variabilità del messaggio da diffondere.
Inoltre, l'emittente politico ha bisogno di affidarsi alla brutale semplificazione affinché ciò che comunica sia commestibile ed intercettabile dallo sciame digitale che popola la rete. Siamo passati dall'elaborazione culturale della proposta politica, che veniva trasmessa dai mediatori territoriali ai finali fruitori, ai telegrammatici slogan in un crescendo parossistico che enfatizza le aspettative e, qualora non soddisfatte, le conseguenti frustrazioni.
Nella comunicazione sempre più veloce le fedeltà politiche non hanno il tempo di maturare e incardinarsi in un'area culturale perché la supremazia del contingente accelera la volatilità elettorale. La politica dovrebbe analizzare il quadro di incertezza in cui opera e smantellare quelle bolle emotive e adrenaliniche tanto polarizzanti quanto effimere. Le urne semivuote ci hanno testimoniato un segno di crisi che non si dovrebbe ignorare. Il centrodestra, che è uscito malconcio dalla recente tornata elettorale, per evitare l'autolesionistico tributo al tafazzismo dovrebbe chiamare il time-out per interrompere la fratricida competizione tra la Lega e Fratelli d'Italia, inaugurando una fase costituente programmatica in grado di stemperare i dissidi e di agevolare l'identificazione di un progetto di governo riconoscibile e accreditabile nelle cancellerie europee.
Silvio Berlusconi ha avuto il merito storico di aver saputo federale una realtà plurale per conferirle una prospettiva di governo che gli italiani hanno avuto la possibilità di riconoscere. Occorre affidarsi ad un aggregatore che si smarchi dai processi logoranti della concorrenza interna. Il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, pare orientato a rieditare la fallimentare stagione dell'Ulivo, privilegiando un cartello elettorale eterogeneo pur di prevalere sugli avversari.
Il centrodestra non può aspettare che gli eventi si materializzino senza dare un contributo al loro incedere ma deve agire per riorganizzare una presenza che valorizzi gli elementi di affinità, dimostrando di essere protagonista della partita quirinalizia senza sterili velleità e di rigenerare una proposta per il futuro dell'Italia fattibile e di qualità.