Manovra 2022, decide Mario Draghi: arriva alla Ue in ritardo e senza interi capitoli di spesa. Nessuno protesta
Dal 15 ottobre a Bruxelles sono arrivati tutti i documenti programmatici di bilancio dei principali paesi dell'Unione Europea: mancavano a quella data solo quelli di paesi che avevano qualche problemino interno: Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca. E quello dell'Italia, che solo ieri è stato approvato dal consiglio dei ministri. Il ritardo non è clamoroso, certo, ma non c'era nulla di straordinario che potesse giustificarlo. Non certo un turno di ballottaggio elettorale per una manciata di grandi città italiane. Proviamo a pensare cosa sarebbe accaduto con un ritardo così ai tempi di Giuseppe Conte premier, e andando indietro con un Paolo Gentiloni, un Matteo Renzi, un Enrico Letta o un Silvio Berlusconi.
Con Mario Draghi, nemmeno una mosca si è alzata in volo a ronzare. Figurarsi se ha osato aprire bocca Ursula von der Leyen. E vedrete che non balbetterà nemmeno nei prossimi giorni, quando in quel documento si leggeranno le grandi linee della manovra economica dell'Italia per il 2022: un importo in gioco che oscilla ancora fra 22 e 23 miliardi di euro. Fatta tutta in deficit, cosa che faceva alzare urla e strepiti della commissione europea. Con alcune tasse, comprese quelle che servono a finanziare il Pnrr (la sugar e la plastic tax) rinviate all'anno successivo, con i due più importanti capitoli di spesa pubblica- previdenza e assistenza- ancora indefiniti perché la maggioranza larga del governo italiano ha impedito di trovare una quadra su Quota 100 per le pensioni e sul reddito di cittadinanza, così come su molti altri capitoli non secondari (ad esempio durata e ambito di applicazione del superbonus).
In uno qualsiasi degli anni che abbiamo alle spalle al solo sospetto dell'invio di un documento così in Europa sarebbero partiti schiaffoni sonori al governo italiano, accompagnati dai primi rumori minacciosi dei mercati. Invece nulla. Nemmeno uno spiffero. Ecco, adesso si può capire come forse mai c'era stata occasione davvero nei mesi precedenti, quale è il vantaggio di un Draghi premier: in questo momento la sua è la figura politicamente più pesante in Europa, e tutti lo sanno e non hanno il coraggio di battere ciglio.
Qualche maldipancia ci sarà pure in Germania o negli altri paesi austeri che ancora non hanno digerito tutto quel malloppone destinato all'Italia dal Recovery Plan e dagli altri fondi comunitari straordinari, in gran parte attraverso un prestito ma anche a dono. E quando capiranno l'effetto del voto delle amministrative, la digestione diventerà ancora più difficile. Perché all'indomani della vittoria della sinistra che più sinistra non si può, già si levano voci su come impiegare quei fondi prestati o donati per quello che chiamano “giustizia sociale”: il modo più sicuro e matematico per buttarli via senza investire in nulla che sia in grado di dare valore a questo paese. Sanno che Draghi non abboccherà a quelle sirene, e si fideranno di lui come garante in grado di spegnere fuochi populisti a destra come quelli non meno populisti cari alla sinistra.
La manovra 2022 è dunque in una botte di ferro. Ma a parte qualche tabella macro-economica e qualche suggestione circolata, in quella botte al momento si è versato talmente poco vino da rendere impossibile giudicarne la qualità. Aleggia come pezzo forte un taglio del cuneo fiscale che varrebbe 8 miliardi, ma non è chiaro se prenderà la forma populista già sperimentata nel 2020 e nel 2021 da Pd e M5s (tutto in busta paga ai lavoratori) o se resterà almeno parzialmente a monte alleggerendo soprattutto il peso del costo del lavoro sui bilanci aziendali. Ci saranno anche altri alleggerimenti fiscali (popolarissima l'Iva ridotta al 10% sui Tampax) e qualche incertezza di più sui risparmi di spesa.
Nessuna tassa in più, come aveva promesso e anche motivato prima di diventare premier Draghi, ed è sicuramente una scelta saggia oltre che utile a non frenare quella crescita del Pil che è fondamentale per tenere a bada un superdebito che da sé non si potrà ridurre. Ancora molto confuso il capitolo dei tagli di spesa, perché su reddito di cittadinanza e pensioni ci sono due ostacoli politici non irrilevanti come il M5s di Conte la Lega di Matteo Salvini per una volta unita nell'intento anche con la componente governativa. Senza quelle soluzioni la manovra è assai monca. Ma Draghi in quello sembra assai andreottiano e non si preoccupa del tempo. Anche perché sa di poterselo permettere.