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La vittoria del grigio Gualtieri, ha votato per lui meno di un romano su quattro

Carlantonio Solimene
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Missione compiuta per Roberto Gualtieri. L’ex ministro dell’Economia, pur essendo stato candidato senza grandissimi entusiasmi da un partito che, alla vigilia, sembrava preferirgli i vari Nicola Zingaretti, David Sassoli e Paolo Gentiloni, riesce nell’impresa di riportare il Pd ai vertici del Campidoglio dopo il pasticcio Marino e la candidatura perdente di Giachetti nel 2016.

 

Lo fa, Gualtieri, al termine di una campagna elettorale in cui di certo non ha entusiasmato. Ma che è stata condotta più che altro per evitare gaffe e non mettere a rischio un risultato che appariva scontato fin dal principio. L’esito di una simile tattica sta tutto nei numeri: Gualtieri surclassa il candidato del centrodestra, è vero, ma in termini assoluti non scalda i cuori. Hanno votato per lui al ballottaggio 565mila romani, circa uno su quattro degli aventi diritto. Virginia Raggi, per dire, nel 2016 al secondo turno raccolse 770mila preferenze, oltre duecentomila in più rispetto al successore.

 

Le prime dichiarazioni concesse dopo i risultati confermano l’incapacità dell’ex ministro di prodursi in grandi slanci oratori. Oltre alle banalità («sarò il sindaco di tutti, anche di chi non mi ha votato») c’è poco. Gualtieri scende in sala stampa già dopo le prime proiezioni che lo danno venti punti avanti all’avversario e promette una «stagione di rilancio» che partirà con una «pulizia straordinaria della città» e garantisce tutto il suo impegno per un incarico «che fa tremare i polsi». «Vogliamo ripulire questa città - dice - farla ripartire, costruire una amministrazione efficiente come i romani meritano, una città alla guida dei grandi cambiamenti e protagonista della stagione di rinascita del Paese». Poi ringrazia Calenda e Conte per il sostegno ricevuto e si prepara alla vera sfida che ora ha di fronte: il governo della Capitale.

 

Il primo passo sarà la composizione della Giunta. L’appoggio «informale» di Azione e dei Cinquestelle gli dà un vantaggio: non dovrà concedere poltrone a esponenti esterni ai partiti che l’hanno sostenuto, sebbene apra a «figure civiche» per la sua squadra. Di certo, far quadrare i conti in una coalizione di ben sette liste non sarà agevolissimo e si è già visto come il Pd romano non sia generoso nei confronti di chi non soddisfa gli appetiti delle varie correnti. È questa la montagna più alta da scalare, ma Gualtieri avrà anche degli indubbi vantaggi. In primis l’enorme quantità di risorse di cui potrà godere, tra Recovery Plan e fondi per il Giubileo del 2025. In secondo luogo, l’oggettiva difficoltà a fare peggio di chi l’ha preceduto, una Virginia Raggi che difficilmente sarà rimpianta dai romani.

Proprio la sindaca uscente, nonostante non abbia mai nascosto la sua diffidenza nei confronti del successore, gli tributa l’onore delle armi: «Congratulazioni a Roberto Gualtieri. Roma ha di fronte a sé tante sfide fondamentali: il Pnrr, il Giubileo 2025, Expo 2030. Sono occasioni importanti da non perdere, che porteranno investimenti nella Capitale per oltre dieci anni» dichiara la Raggi. «Da parte mia - conclude - ci sarà leale e costruttivo sostegno nelle battaglie che avranno a cuore Roma».

 

Resta il problema legato all’astensionismo. Le periferie, tanto corteggiate in campagna elettorale, di fatto hanno disertato la sfida elettorale. Gualtieri promette che lavorerà a fondo per ridurre l’area dell’astensionismo. Ma questo è il domani. L’attualità è la grande festa serale a piazza Santi Apostoli dove, oltre al neosindaco, si fanno vedere tutti i big del Pd, dal segretario Enrico Letta al governatore del Lazio Zingaretti. «Questa vittoria ha un significato politico. Dimostra che riunire il centrosinistra è possibile e si vince. Si vince a Roma e si può vincere anche a livello nazionale» scandisce il neo sindaco. Ma ai romani di tutto questo importa poco. Più importanti le buche, i rifiuti, i trasporti. La sfida comincia, qui si misurerà davvero il «secchione» Gualtieri.
 

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