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Caso Luciana Lamorgese, così il ministro ha sbagliato tutto: Draghi ha un problema Interno

Franco Bechis
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Non è accaduto nulla di grave nel giorno d'inizio del green pass sui luoghi di lavoro. Proteste, manifestazioni, qualche piccolo blocco sì. Un venerdì dove tutto un po' si è confuso, visti i comizi finali per le elezioni amministrative in alcune città e altri tipi di protesta, come quella degli ex lavoratori Alitalia restati senza posto a Roma e Fiumicino. Non si è bloccato il porto di Trieste, dove comunque erano in migliaia a solidarizzare con i portuali che incrociavano le braccia. Non è accaduto nulla di grave, anche se sommando le manifestazioni di tutte le città, erano non pochi a gridare “No green pass”.

A Roma era in campo un discreto dispositivo di sicurezza, che rendeva quasi inaccessibili alcune zone, prima fra tutti la salita verso il Quirinale a fianco del quale c'è il museo delle Scuderie nel primo giorno della mostra sull'Inferno di Dante. A protezione del luogo uomini e mezzi, decisi sulla base di un curioso allarme. Qualcuno durante la riunione territoriale sull'ordine pubblico e la sicurezza si è infatti ricordato delle parole pronunciate a fine settembre a piazza San Giovanni nel comizio dello scandalo dell'allora vicequestore di Roma, Nunzia Schilirò. “Per concludere”, disse alla platea, “vorrei porre una domanda ai nostri governanti se mi vogliono ascoltare. Vorrei sapere che cosa accadrà il 15 ottobre quando loro saranno impegnati ad aprire la porta dell’inferno alle scuderia del Quirinale, se molti milioni di italiani dovessero decidere di rimanere a casa e di dire no alla tessera verde?”. Si è temuto che fosse un messaggio al popolo no pass: “il 15 ottobre fate un inferno alle scuderie del Quirinale”.

In realtà la Schilirò immaginava che ieri ci fosse non l'apertura al pubblico, ma la pre-inaugurazione della mostra alla presenza del Capo dello Stato e di tutte le istituzioni (è avvenuta invece due giorni prima). Lei voleva dire: “tutte le istituzioni saranno a inaugurazione mostra, mentre i cittadini bloccheranno il Paese”, ma l'hanno preso per altro...”.

Comprensibile qualche cautela in più in un giorno che avrebbe potuto essere critico, soprattutto dopo quel che è accaduto sabato scorso in piazza del Popolo con successivo assalto alla sede Cgil e tentato assalto ai palazzi del potere. Ma l'episodio ben fa capire come i nervi siano a fior di pelle e come i responsabili della sicurezza in Italia stiano vivendo momenti assai confusi. Certo, tutto parte da una catena indubbia di errori compiuta in quel drammatico sabato. Quando non ci fu affatto trattativa polizia-Forza Nuova, ma si cercò in qualche modo di tenerli buoni fingendo una disponibilità nella attesa di istruzioni che dovevano venire molto dall'altro, e che non sono arrivate. Sicuramente non c'era un dispositivo in grado di fare prendere quel tempo necessario (e che comunque sarebbe stato inutile), e sono stati compiuti errori marchiani nella gestione dell'emergenza. Non ultimo quello di inviare a presidio della sede Cgil un piccolo gruppo di polizia territoriale non adatta e tanto meno attrezzata per quello scopo.

Pochi uomini, ma non sarebbero serviti molti di più di uno dei reparti della Celere e quella sede non sarebbe mai stata sfondata. Ma istruzioni e autorizzazioni a spiegare quanto avvenuto non sono arrivate per molte ore. Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, era impegnata a Lecce e per lungo tempo irreperibile e muta anche dopo essere stata avvisata dell'accaduto. E' una situazione in cui gli uomini che debbono garantire la sicurezza degli italiani si sono trovati più volte in questi mesi.

Una evidente lontananza dalla personalità politica che dovrebbe guidarli e questo non fa. Un ministro che cerca di tenersi lontana dai guai, che quando capitano tende a scaricarne la responsabilità sui livelli inferiori della catena, che negli incontri con i vertici della sicurezza in questi mesi la sola cosa rimarcata più volte  in quegli incontri (quasi a mostrarsi autorevole per questo) era la protezione assicuratele dal Quirinale, non garantisce quel comando di cui nel settore c'è primario bisogno. I nostri uomini della sicurezza hanno necessità di una guida politica, di cui per storia e abitudine non discutono mai l'orientamento. Ma non ce l'hanno, e vivono nella incertezza di un comando politico-operativo del tutto assente.

E' un problema enorme, il vero caso Lamorgese. Il ministro cerca sempre disperatamente la sponda del capo del governo, Mario Draghi, che però non la offre se non per il minimo dovuto: sui temi della sicurezza l'esperta deve essere lei, lei rispondere di quel che avviene e trovare la soluzione ai problemi. Magari non combinando i pasticci creati proprio sul green pass che non è materia sua, con la circolare inviata sui tamponi gratuiti ai portuali di Trieste.

I vertici della sicurezza sono preoccupati per un autunno caldo dove i problemi di ordine pubblico avverranno sotto copertura di quello slogan, “Dittatura sanitaria”, che unirà eversione nera ed eversione rossa alla rabbia di sempre più gente comune. Ha impressionato molto avere visto dalle immagini delle telecamere di sicurezza di sabato scorso una signora distintissima, di quelle che penseresti a fare shopping in via Condotti, entrare invece in un cantiere in piazza San Lorenzo in Lucina proprio davanti alla caserma dei carabinieri, per raccogliere in un secchio decine di sanpietrini da lanciare poi addosso ai poliziotti. Ha impressionato gli stessi agenti il trovarsi di fronte a donne e uomini così che inveivano con rabbia nei loro confronti roteando pugni e urlando cose indicibili. Non era mai capitato prima d'ora. Ma è capitato sabato scorso, ed erano davvero tanti, tantissimi, quanti la politica tradizionale da anni non vede in piazza. Talmente esasperati da avere accettato per la prima volta di fare guidare la manifestazione a Forza Nuova (mai accaduto prima, erano sempre stati isolati e respinti dal grosso della piazza).

Ieri non è accaduto nulla e lo slogan partito mentre gli avvenimenti erano ancora in corso è il classico “è andato tutto bene”. Ricordo però che lo stesso slogan fu pronunciato il giorno della minaccia del blocco dei treni, quando nelle stazioni c'erano più giornalisti che no pass. Grandi sfottò a chi aveva annunciato proteste poi rivelatesi flop. Gridati dagli stessi che urlano oggi alla sottovalutazione della tragedia che si è sfiorata sabato scorso. Bisogna guardare negli occhi la realtà: quel malumore e quel dissenso sarà pure di una minoranza, ma non sarà fatto minore. Quando si penserà di averlo messo alle spalle con un po' di retorica su fascisti e antifascisti, risbucherà imprevisto come ha già fatto. Per affrontarlo servirà un'autorità politica, un comando deciso agli Interni. Draghi lo sa: oggi non c'è. Bisogna porvi riparo prima che sia troppo tardi.

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