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La casa sia occasione per creare Pil e non per spillare soldi alle famiglie

Gianluigi Paragone
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La casa è un po’ croce e delizia. Quindi la revisione del catasto fa paura. A ragione: ciò che oggi si chiama riforma domani si chiamerà aumento delle tasse. Su questo non ci piove. Era inevitabile, oltre che prevedibile, la considerazione per cui la riforma del catasto aprisse al tema della tassazione sulle case. Sono anni che provano a tassare sempre di più gli immobili dribblando la considerazione generale che gli italiani già pagano tantissimo tutto ciò che è legato al bene in questione. A questo punto occorre alzare lo sguardo e domandarsi se non valga la pena tornare a puntare sugli immobili vedendoli come occasione di slancio più che come mammella da mungere per restituire i soldi all’Europa (perché è di questo che stiamo parlando: i famosi soldi che arrivano da Bruxelles vanno coperti, garantiti e restituiti). In una fase emergenziale dove il mercato si sta leggermente riprendendo (anche quello delle seconde case), che senso ha aprire la questione della riforma catastale? A maggior ragione con gli effetti del superbonus che ha rimesso in moto l’edilizia.

 

 

La casa è da sempre il bene rifugio, il punto di appoggio delle famiglie e della piccola impresa; tormentarlo non serve. La riforma della giustizia che torna a esporre gli esecutati sbilanciandoli rispetto alle banche è un errore micidiale, poiché lascia una miriade di persone indebitate in balia delle paure di restare scoperte e senza un tetto sopra la testa. L’aumento delle sofferenze bancarie porterà inevitabilmente all’aumento delle esecuzioni immobiliari. Per non dire di coloro che non riusciranno a star dietro al pagamento degli affitti creando così tensioni tra proprietari e affittuari, che si vedono con gli «sloggi». Veniamo quindi al tema centrale: perché puntare alla casa come bene da cui spillar soldi, quando il governo dovrebbe scucire soldi per un piano case pubblico fatto di riammodernamento o ristrutturazione delle case popolari?

 

 

Le periferie non sono andate a votare perché nessuno ha più il coraggio di confrontarsi con le stesse, a cominciare dalle condizione in cui versa il patrimonio immobiliare di edilizia pubblica. Non è possibile che quelle case siano in costante e progressivo stato di degrado, che nessuno controlli persino la messa a terra e le allacciature del gas, della luce, dell’acqua. Ci sono appartamenti disabitati con il riscaldamento in funzione anche d’estate! Quei pezzi di città stanno crescendo (crescendo…) anarchicamente e in totale assenza di leggi e di controllo; quei quartieri costituiscono la zona di emergenza unica possibile per chi progressivamente smotta dal ceto medio-basso giù al ceto basso, da occupato a precario o disoccupato. Se di questi aspetti cruciali non se ne occupa lo Stato, se ne occuperà chiunque ci metterà la faccia. Lasciando a noi le solite chiacchiere sulla criminalità. L’astensione dell’ultimo voto (che aumenterà ai ballottaggi) ci dice questo. Anche se a Draghi e a Mattarella interessa poco o nulla.

 

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