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La riforma del catasto annunciata da Mario Draghi regala solo incertezze

Angelo De Mattia
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Non è, quella progettata dal Governo, una riforma fiscale onnicomprensiva e dotata di una chiara organicità e incisività quale fu la riforma degli iniziali anni settanta del Novecento che passa sotto i nomi Visentini - Cosciani. Ad essa si disse che l'Esecutivo si sarebbe ispirato, ma il risultato resta nettamente parziale. Il catasto, per di più, si presenta come il pomo della discordia, a meno che non sia un insperato, ma propizio «casus belli» nella stessa maggioranza. È istruttivo l'atteggiamento della Lega. Del resto, fino a che si tratta di principi e criteri direttivi, secondo quanto richiesto dalla Costituzione per i decreti delegati, le convergenze, come nel caso della proposta di legge delega per la predetta riforma, possono essere anche ampie. Alla stessa revisione si potrebbero, invero, aggiungere altri principi quale quello dell'equità e della posizione della famiglia e dei suoi componenti nei confronti della tassazione. Ma in generale, salva l'esigenza di alcuni chiarimenti sulle «spese fiscali» e sull'ipotesi nonché sulle conseguenze dell'avvio del «sistema duale» tra redditi di capitale e i redditi diversi ai quali si applica l'Irpef, i principi sono condivisibili.

 

 

Fa, tuttavia, eccezione l'accennata questione catasto. In ogni caso, il giudizio che conta, quello finale, si potrà dare solo quando si conoscerà la bozza dei decreti delegati - che dovranno essere adottati entro il termine massimo di 18 mesi, coincidente in sostanza con la fine naturale della legislatura , se ci si arriverà - perché solo allora si potrà verificare come saranno stati articolati i principi anzidetti in norme concrete immediatamente precettive ed applicabili e come sarà stata prevista l'operazione di razionalizzazione e semplificazione della disciplina tributaria. Quanto al catasto, adottare le misure previste dalla delega perché vengano accatastati i numerosissimi immobili che ora non lo sono è un'operazione doverosa che risponde anche alla realizzazione di una «par condicio» con i contribuenti - proprietari immobiliari e all'affermazione della legalità. Altra cosa è la pur introdotta revisione, nel termine di cinque anni, delle rendite per adeguarle ai valori di mercato a proposito delle quali il Premier afferma che si tratta solo di un'operazione di trasparenza perché nessuno pagherà di più o di meno rispetto ad oggi, escludendosi dalla rivisitazione le finalità impositive. Ciò, però, varrà per cinque anni, fino al 2026. E poi?

 

 

Chi può mai pensare che una complessa, forse storica, operazione, spesso tentata in passato e mai realizzata, si faccia solo a meri fini di trasparenza? E, allora, si lascia nell'indeterminatezza il problema della tassazione in una materia nella quale domina, anche per la durata dei mutui con i quali, in generale, si acquistano gli appartamenti, la visione di medio-lungo termine? Il tema delle certezze, tante volte evocato a proposito di diverse materie, ora non conta più ? E lo scaricare oneri sul futuro, assai spesso deprecato, questa volta è ammesso? E la formazione delle aspettative? È vero che non possiamo sapere chi governerà nel '26 ma allora si rispetti doverosamente la «parresia» e si rappresenti, nei termini esatti, l'operazione che si sta costruendo, la quale pur potrebbe essere oggi limitata solo alla prima fase, quella dell'accatastare tutto ciò che è di necessità accatastabile. Insomma, al «nessuno pagherà di più e nessuno pagherà di meno» bisogna, intanto, aggiungere , proprio in omaggio alla trasparenza, che ciò vale fino al termine dei cinque anni per cui successivamente è prevedibile che alcuni, o molti, «pagheranno di più e altri di meno».

 

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