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Conte si è trasformato nel curatore fallimentare del M5S: venduta l'anima alle poltrone

Riccardo Mazzoni
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«Il nuovo corso si è insediato da poco e non ha potuto dispiegare in pieno le sue enormi potenzialità». Dopo il frenetico tour in mezza Italia, vissuto più come un onere che come una gratificazione nonostante gli ostentati bagnetti di folla con le bimbe-majorettes a fargli da contorno, Giuseppe Conte ha cercato di salvare il salvabile del disastro elettorale buttando la palla in calcio d’angolo. D’altra parte la sua investitura alla guida dei Cinque Stelle risale appena ad agosto, i candidati alle amministrative non li aveva scelti lui ed è risaputo che il Movimento non è strutturato a livello territoriale. Giustificazioni perfino plausibili, dunque, ma incompatibili con i tempi di una politica che ormai brucia i leader di partito con la rapidità degli allenatori di calcio, e in questo senso il paragone tra la squadra di Conte e la Longobarda di Oronzo Canà è tutt’altro che improprio, essendo entrambe in bilico tra retrocessione ed estinzione. Eppure il sudore sotto la pochette è la prova provata che l’ex avvocato del popolo ce l’ha messa davvero tutta, e visto l’esito sconfortante risuona come quasi profetico il grido d’allarme lanciato a sorpresa un mese fa: «Siccome non ritengo di essere infallibile, e nemmeno vedo davanti un orizzonte poi così lungo, ve lo dico francamente: lavorare così per il bene comune è una faticaccia enorme, quindi non credo che la potrò reggere fisicamente a lungo».

 

 

In effetti, per un Carneade portato in carrozza a Palazzo Chigi senza colpo ferire, fino a librarsi sulle vette effimere del politico più amato del Paese, ritrovarsi a comiziare in mezzo alle faide di Comune per poi racimolare percentuali da prefisso telefonico deve essere stato un autentico e comprensibile choc. Dei 19 sindaci grillini eletti nel 2016 non è rimasta praticamente traccia, dove il Movimento 5 Stelle si è presentato da solo è stato ovunque un tracollo, e dove si è alleato col Pd è stato un mezzo tracollo, o forse un tracollo e mezzo, visto che i suoi voti sono risultati del tutto ininfluenti. Più che di flussi elettorali, questa volta per il Movimento al massimo si può parlare di riflusso elettorale: a Milano ha preso meno voti della lista Paragone, a Trieste è stato addirittura superato anche da quella, del tutto improvvisata, dei No Vax. Ma il riscontro più probante dell’effetto Conte c’è stato a Savona, Comune dove cinque anni fa il candidato sindaco a Cinque Stelle aveva ottenuto il 25,10 per cento, sfiorando il ballottaggio. Ora i consensi sono precipitati al 9,77%, nonostante che il grillino Meles fosse sostenuto oltre che dalla lista a Cinque Stelle, anche da un’assoluta new entry nel panorama variegato dei simboli elettorali: «Con Te per Savona», con chiaro riferimento all’ex premier, che ha riportato uno strabiliante 2,68%, nonostante l’applaudito passaggio in città dell’avvocato del popolo.

 

 

Per il quale, peraltro, le fatiche vere iniziano ora: le nomine interne non possono più aspettare, e rischiano di moltiplicare i malumori già esplosi a tutti i livelli, mentre il silenzio di Grillo assomiglia molto alla quiete che precede la tempesta. Ci sono tutte le premesse, insomma, perché Conte, se reggerà allo stress, diventi alla fine il curatore fallimentare di un Movimento che si è frantumato vendendo l’anima alle poltrone: un parlamentare su tre ha abbandonato i gruppi, centinaia di consiglieri comunali sono usciti e migliaia di attivisti non hanno rinnovato la tessera. È rimasta una nomenklatura di nominati il cui massimo obiettivo politico ormai è fondersi con il Pd, con Conte nel ruolo di mosca cocchiera. O forse di pifferaio magico.

 

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