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Il Mes «dimenticato» un'occasione per l'Ue di rivedere le regole

Angelo De Mattia
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Ritorna in ballo un argomento, che ormai sembrava archiviato, quello dell'approvazione delle modifiche introdotte nel Trattato europeo sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Entro la fine dell'anno in corso il Parlamento dovrà ratificare le modifiche. Dal 2022 il redivivo Mes sarà il «paracadute», il «backstop» del Fondo europeo di risoluzione delle banche, con una dotazione iniziale di 55 miliardi. Si attribuisce così al Mes una nuova funzione con reazioni non concordi da parte degli Stati e, nel contempo, implicitamente si attesta l'inadeguatezza per come lo si è istituito, del Fondo di risoluzione che dovrebbe reggersi sulle contribuzioni di questi ultimi e che costituisce il secondo pilastro dell'Unione bancaria costruito in maniera traballante, per non parlare del terzo, l'assicurazione europea dei depositi, lontana dal vedere la luce.

 

 

Sul Mes, in Italia, si era scatenata una guerra di religione, nella quale si sosteneva che chi non era d'accordo ad approvare la riforma e a chiedere l'intervento possibile per il nostro Paese di oltre 30 miliardi per la principale operatività del Fondo (non per il «backstop») era antieuropeo e irresponsabile perché non voleva cogliere l'opportunità di una tale erogazione con un basso onere per la restituzione del prestito. La replica dei contrari, non affatto infondata, riguardava le condizionalità dell'erogazione del finanziamento che, comunque, restavano in vita, facendo esse parte del Trattato che sul punto non veniva modificato, e i possibili controlli comunitari macroeconomici, insomma la sorveglianza, ai fini del rimborso. Botte e risposte si succedevano. Si sviluppava, poi, un confronto più serrato tra le forze politiche e tesi in ogni caso contrapposte quando, però, è sopraggiunto l'ottenimento del Next Generation Eu che ha fatto calare una cortina di silenzio sul Mes. Chi si era battuto all'ultimo sangue per fare accettare il Mes ha trovato un penoso escamotage per uscire dall'angolo affermando che il vero Mes era Mario Draghi, per di più dimenticando che il Premier, da presidente della Bce, era stato tra i principali fautori della nuova funzione da attribuire al Meccanismo e, in generale, della sua nuova operatività.

 

 

Ora, poiché l'Italia non è con l'acqua alla gola, bisognerebbe riflettere, pur essendo arrivati a uno stadio molto avanzato, prima di procedere alla ratifica della riforma. Sarebbero necessarie revisioni del testo dell'intesa e, se non più possibili, occorrerebbe intervenire sulle materie collegate, a maggior ragione perché a suo tempo si sostenne che la specifica questione dovrebbe essere inquadrata in un contesto generale. C'è il problema della condizionalità che andrebbe circoscritto e ridimensionato anche per prevenire qualsiasi stigma per chi ritenesse di avvalersi del Meccanismo. Vi è, poi, la necessità di un chiarimento sull'Unione bancaria che finora ha prodotto solo una misura rilevante, il trasferimento integrale della Vigilanza bancaria dai singoli partner, per di più in contrasto con il Trattato Ue che consente esclusivamente l'accentramento nella Bce di compiti specifici di Vigilanza prudenziale attraverso un complesso procedimento. C'è da affrontare la questione della messa in comune, almeno nell'Eurozona, dei rischi (e dei debiti). Si deve chiarire se si marcia o no verso il mercato unico dei capitali. Insomma, la questione Mes potrebbe diventare l'occasione per sollevare importanti temi e problemi e pretendere una soluzione, operando per ricercare le opportune convergenze.

 

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