connubio

Magistratura e politica, perché il voto è inquinato

Fabrizio Cicchitto

In questi ultimi giorni di campagna elettorale per le elezioni amministrative siamo arrivati ad una sorta di parossismo quanto a commistione fra la giustizia e la politica. Se tanto mi da tanto, se non cambia davvero radicalmente il sistema, c’è da domandarsi cosa succederà quando ci saranno le Politiche. Prima però di affrontare gli ultimi casi, ben distribuiti fra le opposte parti e perfino sminuzzati per «servire» anche i centristi (Renzi, caso Consip, Verdini), non possiamo fare a meno di andare indietro nel tempo non per il gusto di evocare il passato, ma perché si tratta di una tendenza di fondo, molto seria, per niente occasionale, iniziata appunto dal ‘92-‘94. È da lì che è cominciato tutto un modo di far politica fondato sulla demonizzazione dell’avversario per via giudiziaria e per via mediatica.

Allora Tangentopoli era un sistema di finanziamento irregolare della politica che coinvolgeva tutti i partiti. Grazie alla gestione unilaterale messa in atto dal pool di Milano, furono schiantati Craxi e il Psi, il centrodestra della Dc, i partiti laici, e salvati la sinistra Dc e il Pci-Pds malgrado che esso fosse stato finanziato dal Kgb e dalle cooperative rosse. Dal 1994 al 2013 questo tipo di attacco è proseguito in primo luogo contro Berlusconi fino alle conseguenze assai gravi costituite dalla sua estromissione dal Senato nel 2013 realizzata con l’applicazione retroattiva della legge Severino. Da allora l’intervento giudiziario si è allargato a macchia d’olio colpendo in molteplici direzioni, ma quasi sempre con effetti letali per chi era colpito anche se veniva assolto a distanza di alcuni anni. In questo quadro per circa 20 anni sono stati perseguiti anche gli ufficiali del Ros (Mori, Subranni, De Donno) che avevano arrestato Totò Riina accusati di aver messo in atto una sorta di atipica trattativa Stato-mafia: fortunatamente sono stati assolti proprio in questi giorni provocando una autentica crisi di nervi da parte di Travaglio&c. Infine dobbiamo dire che non ci hanno convinto né nel passato le incriminazioni di Salvini per sequestro di persona rispetto alle navi di migranti, né adesso la condanna di ieri di Mimmo Lucano ex sindaco di Riace addirittura per 13 anni per il reato di peculato: di quest’ultima condanna non ci convince né la tempistica (a due giorni dalle elezioni), né la motivazione. Poi nella sostanza sulla politica per l’immigrazione svolta dall’ex sindaco si possono fare mille osservazioni.

  

Quanto alla vicenda riguardante Luca Morisi, premesso che noi abbiamo orrore della cosiddetta bestia, gestita per criminalizzare gli avversari politici, invece non ci convince niente dell’esplosione di questa storia, né per i suoi tempi (un caso avvenuto a metà agosto esplode grazie a due giornali a cinque giorni dalle elezioni), né per le sue modalità (questo escort romeno si sente male e chiama i carabinieri e poi «de remoto» fa addirittura una sostanziale conferenza stampa con Repubblica, Corriere della Sera e Stampa). Conclusioni. Dal 1992 ad oggi la magistratura ha conquistato sostanzialmente il potere politico vero, essendo diventata il sistema descritto nel libro di Palamara e Sallusti. Adesso però è implosa al suo interno per cui emette segnali contrastanti: basta pensare a quello che è successo alla procura di Milano sul processo Eni e sulle opposte valutazioni delle deposizioni di Amara. Non è possibile che la democrazia italiana sia dominata in questo modo dai fuochi d’artificio posti in essere da tribunali o da inquirenti caratterizzati in modo evidente e sfacciato da impostazioni politiche assai evidenti. L’unica via, assai impervia, è quella di partire da un punto fondamentale, lo sdoppiamento delle carriere fra magistratura giudicante e inquirente, con due Csm eletti per sorteggio.