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Tolleranza zero e cantieri, è la Roma di Enrico Michetti. Il forum a Il Tempo con il candidato del centrodestra

Pietro De Leo
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«La campagna elettorale? È il più bel regalo che la vita potesse riservarmi». Enrico Michetti, candidato del centrodestra a sindaco di Roma  nel primo pomeriggio di ieri arriva, per un forum, nella redazione de Il Tempo. Un panoramica a tutto tondo, in profondità, su programmi e non solo. Anche sulla persona, perché no. Nella dimensione in cui la politica è racconto, e in cui Enrico Michetti è del tutto esordiente nell’agone (non nella scena pubblica, avendo tenuto per anni una rubrica su Radio Radio), ne scopriamo anche gli aspetti di vita applicati a questa corsa così anomala dato il periodo e il contesto. A partire dal suo approccio per nulla bellicoso alla disfida. A chi gli chiede degli attacchi dei suoi competitor risponde: «Non guardo quello che fanno gli altri». Se proprio bisogna parlare di persone, meglio parlare dei romani. «Per anni ho prestato le mie consulenze tecnico-giuridiche nei Comuni, ma ora sto scoprendo che fuori dai palazzi c’è una grande umanità, per quanto in un contesto molto complicato. Il giovane che chiede lavoro, l’anziano che ti dice "sono da solo". Io ascolto, parlo, incontro». E conclude, a tre giorni dal voto, con il più laconico dei giudizi: «Roma è una città in piena paralisi». E allora come sbloccare, rivitalizzare, riaccendere è il tema dell’ora e più che Michetti trascorre a Il Tempo, con la redazione, il direttore Franco Bechis ed il vicedirettore Francesco Storace. Il perno della sua proposta è quello della buona amministrazione.

 

È un suo pallino, Michetti.

«La macchina amministrativa va rimessa in asse. L’efficienza è la parola chiave per rimettere in gioco la pubblica amministrazione. Al servizio del cittadino e delle imprese».

Questo, però, si lega ad un tema di stretta attualità su come si svolge il lavoro amministrativo. Il primo è lo smart working. Se lei fosse eletto, quanto lo utilizzerebbe?

«Il meno possibile. Sono per la prossimità per me è fondamentale il contatto con il cittadino. Il lavoro a distanza dev’essere l’eccezione, non la regola».

E sull’obbligo green pass nei luoghi di lavoro? C’è stato molto dibattito in merito.

«Le regole le stabilisce il governo, quindi io seguo quelle, senza se e senza ma».

 

Tutto questo ci rimanda all’altro nodo di stretta attualità, il vaccino. Lei che posizione ha?

«Ho fatto entrambe le dosi di vaccino. Ma se mi si chiede un appello affinché ci si sottoponga ai sieri, non lo posso fare semplicemente perché non sono un esperto, non sono uno scienziato e dunque non parlo di cose che non conosco pienamente».

Torniamo alla macchina pubblica. Capitolo municipalizzate. Che fare?

«Noi abbiamo 174 regolamenti. Ci sono stratificazioni di norme, norme in contrasto, norme che generano contenzioso. Lì ci sono anche indirizzi per la mobilità, per l’igiene urbana, che quindi si rivolgono anche all’attività delle partecipate. I regolamenti vanno asciugati, resi intuitivi. Dopo aver fatto questo occorre pensare all’organismo di gestione della società. In relazione al carico di lavoro dovrà avere unità adeguate, che vanno formate ed aggiornate. Ma soprattutto, gli indirizzi che deve dare l’amministrazione comunale, devono essere chiari. Perché la società strumentale vive di riflesso del Comune».

Spesso in questa campagna elettorale si è parlato di privatizzare le municipalizzate.

«Vanno lasciate al 100% pubbliche. Ma il personale va rimotivato, con un progetto industriale. Chi ha una visione di un ente locale, pensa a questo. C’è un capitale umano da rispettare, ci sono delle famiglie. O si fa così, o Atac e Ama faranno la fine di Alitalia».

Per superare la «paralisi della città», cui lei fa riferimento, una delle leve è l’urbanistica. Che programma ha in merito?

«Vogliamo una città piena di cantieri. Lo Stadio della Roma, per esempio, va realizzato subito. E poi devono essere fatte le riqualificazioni. Attualmente c’è un piano urbanistico del 2008, che è piuttosto rigido, ma si possono fare tante cose, attivando nelle periferie i cosiddetti piani di recupero. La riqualificazione deve ripartire da quelle realtà dove, purtroppo, c’è carenza di opere di urbanizzazione, non realizzate nel tempo. Lì si potrà lavorare bene per la rigenerazione urbana. La periferia ha bisogno di tante cose, dagli asili nido ai luoghi di aggregazione per i giovani, delle biblioteche, di collegamenti efficienti. Ma la periferia la possiamo rigenerare se portiamo l’innovazione tecnologica, perché ciò fa nascere attrattiva per le imprese e dunque lavoro. Per questo, noi nomineremo un assessore dedicato al tema».

E invece, per l’assessore all’urbanistica ha già un nome?

«La figura non è stata individuata, ma il profilo adeguato al ruolo deve avere trent’anni di esperienza, conoscere il settore e, soprattutto, saper fare il gioco di squadra».

 

Se parliamo di periferie e di riqualificazione, viene in automatico pensare al degrado e al tema sicurezza. Le criticità, oramai, riguardano tutta la città. Bivacchi, occupazioni insediamenti abusivi, zone franche. Qual è la ricetta Michetti?

«Tolleranza zero. Se c’è una legge va rispettata. Se una persona si arroga il diritto di occupare un bene senza avere un titolo, quella persona deve trovare ricovero altrove. E se ha delle difficoltà, i servizi sociali la prenderanno in carico. Occorre poi mettere in campo un tavolo inter istituzionale, con Prefettura e Questura, da riunire periodicamente per monitorare le situazioni critiche, e mappare l’efficacia delle iniziative già realizzate».

Altro aspetto del degrado è quello relativo ai rifiuti, forse il tema più dibattuto in campagna elettorale. I problemi sono di raccolta e di smaltimento.

«Inquadriamo la materia: il Comune ha il compito della raccolta; il Comune e l’area metropolitana hanno il compito di individuare i siti in ragione della quantità e della qualità dei rifiuti che produce la città. Le direttive comunitarie stabiliscono che il rifiuto si smaltisce nel luogo in cui si produce. La Regione ha autorizzato la realizzazione degli impianti, nel suo piano e potrebbe sostituirsi al Comune in caso di inadempienza. Ma poi, se il Comune non fa niente, e idem la Regione, il rifiuto rimane per strada. Oggi ci sono i gabbiani e i cinghiali, ma domani purtroppo potremo avere il colera. Gli impianti devono essere realizzati, perché senza di essi il rifiuto non si tratta né si smaltisce».

Però di tempo ne è rimasto davvero poco. Il gioco di inviare altrove i rifiuti di Roma non durerà ancora a lungo. Pare, ad esempio, che l’Emilia Romagna abbia già chiuso i rubinetti.

«La cosa da fare subito è realizzare dei centri di trasferenza, di stoccaggio dei rifiuti, dividendo il carico in maniera equanime tra municipi, individuando le zone non antropizzate. Il problema dell’igiene urbana sottolinea bene come la città viva in continua emergenza, perché non si pianifica nulla. Questo vale anche per le manutenzioni ordinarie e straordinarie, specie del manto stradale. La buca è il sintomo del degrado».

Parlare di un programma per Roma significa anche soluzioni per la vocazione della città. Dunque turismo e cultura. Cosa ha in mente?ì

«La delega al turismo la terrò io. E ho parlato con il ministro Garavaglia: insedieremo l’assessorato presso il ministero. A livello di iniziative, è necessario promuovere il brand Roma e censire tutto ciò che è romano. Un esempio calzante: tutelare il carciofo romano, in tutta la filiera, dunque chi lo produce, chi lo distribuisce e chi lo cucina e chi lo vende. Il cittadino che viene da Vancouver deve sapere che se consuma quel prodotto si immerge in una certa tradizione, in un tratto caratteristico di Roma. Ovviamente, turismo e cultura significa anche Festival e grandi appuntamenti che stiamo perdendo e dobbiamo riportare, ma anche più infrastrutture. Per esempio penso al prolungamento della linea metro da Anagnina fino a Ciampino, da Anagnina. La conformazione del terreno avvantaggerebbe questa iniziativa. In questo modo, avremmo l’aeroporto al centro della città».

 

La realizzazione di un programma articolato non prescinde dalla questioni poteri della Capitale. Anche se ciò dipende da un intervento normativo a livello nazionale, lei che modello ha in mente?

«Roma ha bisogno di maggiori poteri, perché ciò significa più capacità di interlocuzione e di avere risorse. Si potrebbe mutuare il modello delle Province autonome di Trento e Bolzano, facendo un intervento di modifica costituzionale, all’articolo 117 della Carta. Si possono "far scendere" alcune materie dalla Regione al Campidoglio, come urbanistica, trasporti e rifiuti».

Virando su questioni politiche. Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei e non Carlo Calenda?

«Degli altri candidati non parlo. Io sono stato scelto da Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani per rimettere in moto la macchina. Si arriva a conoscere la macchina dopo un "corso di laurea" non di quattro anni, ma di vent’anni. Se non sei mai entrato in Comune, è come dall’oggi al domani pretendere di entrare in sala operatoria e vestire i panni del chirurgo in un’operazione a cuore aperto. Io non conosco gli altri candidati, non conosco i loro curricula. Il mio rapporto è solo con i cittadini».

Non si è pentito di una campagna elettorale troppo "gentile" nei toni e nel confronto con i competitor?

«Io sono una persona per bene, gentile ed educato con tutti. Nei miei incontri con i cittadini nessuno mi ha mai chiesto di essere più aggressivo. Noi vinciamo con il sorriso e con la pacca sulla spalla. Gli elettori hanno capito che siamo il cambiamento. Poi le battaglie le faremo dopo».

Andiamo sul Michetti-uomo. Lei è tifoso della Lazio!

«E Simonetta Matone, candidata prosindaco, è tifosissima della Roma. Così avremo un perfetto equilibrio in giunta».

Qual è l’angolo di Roma preferito?

«Il Gianicolo, perché è uno dei posti più romantici di Roma. Da ragazzi, diciamo che "aiutava" molto».

Piatto tipico preferito?

«L’amatriciana, che anche se non ha origini precisamente romane, comunque fa parte della tradizione di Roma».

Ogni campagna elettorale è ricca di incontri conviviali. Come ha fatto a mantenere la linea?

«Ho calcolato circa sei, sette cene a sera. Ovviamente i ritmi sono molto alti e non c’è tempo di trattenersi a tavola ogni volta. Io conto sempre di farlo a quella programmata per ultima. Ma ogni volta che arrivo sono rimaste solo le bevande!».

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