Zingaretti-Raggi, le nozze sono impossibili
C’è chi ci spera in cuor suo, chi lo dice sottovoce e chi invece lo teorizza apertamente. Ossia un abbraccio Pd-5Stelle al secondo turno delle Comunali a Roma. O meglio, in questo caso sarebbero i pentastellati a dover abbracciare il Pd considerando che, probabilmente, sarà il candidato di centrosinistra Roberto Gualtieri ad accedere al ballottaggio. Ma siccome gli elettori non si telecomandano, e soprattutto si accorgono delle cose, la lotta continua, a suon di contumelie e di veri e propri insulti tra i due partiti in nessun caso si potrà cancellare. Per un assaggio, ecco quel che è accaduto ieri. Durante un confronto tra candidati a Repubblica, Virginia Raggi ha attaccato: «Nelle liste di Gualtieri ci sono anche gli accoltellatori di Marino, nonostante gli abbia chiesto scusa. Ha già la pistola puntata alla tempia», accusando poi il Pd di essere «il vecchio che ritorna». Di rimando, Gualtieri ha sottolineato che «Roma non è mai stata così male», con evidente allusione all’esperienza amministrativa del Movimento. E questo è niente, se si considera quel che, sempre ieri, ha detto Enzo Foschi, vicesegretario Pd del Lazio (assai vicino a Nicola Zingaretti): «La Raggi passerà alla storia come Virginia la bugiarda». Accusa pesantissima, tuttavia non nuova. Perché, in questi anni, sulla direttrice tra verità e menzogna il Pd e il Movimento se ne sono date di santa ragione. Nel giugno scorso, Alessandro Di Battista (che nel Movimento 5 Stelle non è più, ma comunque ne incarna l’ortodossia), per difendere la Prima Cittadina dagli attacchi del Presidente della Regione Lazio accusava quest’ultimo: «Zingaretti infanga mentendo». Due anni prima, invece, accadeva l’esatto contrario. Ossia che era un’esponente del Pd, nello specifico Monica Cirinnà, a difendere Zingaretti dagli attacchi della Sindaco. E diceva: «Si permette di offendere Zingaretti con una serie di maldestre bugie».
Sempre nel 2019, così il Movimento 5 Stelle del Lazio bollava la gestione regionale del dossier rifiuti: «Sette anni di bugie e di inganni». L’anno prima, 2018, sempre sul medesimo tema, uguale ritornello: «Basta con le bugie della Regione Lazio a guida Pd», stavolta però ad accusare erano gli allora gli allora Capigruppo pentastellati di Camera e Senato. Quell’anno, inoltre, nelle more di una polemica relativa allo sgombero di un campo rom, l’allora presidente del Pd Matteo Orfini ebbe a definire la Sindaco «una bugiarda seriale». Sempre più indietro, nel 2017, l’allora deputata dem Lorenza Bonaccorsi, in uno dei tormentati momenti (se ne sono succeduti diversi, in questo quinquennio) di approvazione del bilancio comunale, attaccò duramente la maggioranza in Campidoglio accusando i pentastellati di essere «mentitori seriali». E sottolineava: «Quella delle menzogne è la cifra dell'era Raggi fin dalla campagna elettorale». E poi c’è un’altra accusa ricorrente, nel ping pong delle offese reciproche, stavolta di sfumatura non morale come la bugia, ma etico-giudiziaria, in cui «malaffare» è la parola scagliata a vicenda.
Nel 2017, quando il New York Times puntava il dito sul degrado della Capitale, e i dem all’opposizione attaccavano la Giunta, Beppe Grillo reagì così: «Il Pd ci ha consegnato una città segnata da malaffare e politiche scriteriate». E per avere il quadro ancor più completo basta saltare al dicembre 2016, quando scoppia il caso Marra e ci sono le prime defezioni di giunta. «Fantasmi di malaffare agitano a Roma chi dà lezioni di moralità», osservava il senatore Pd Franco Mirabelli. «Incapacità e malaffare producono un mix distruttivo», attaccava Lorenza Bonaccorsi. Evidentemente una vendetta verbale rispetto a quando, prima delle elezioni che portarono in trionfo Virginia Raggi, il Movimento 5 Stelle di Roma definiva il Pd un «modello di malaffare». Insomma, botte in quantità. Difficile farle dimenticare agli elettori.