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L'illusione della sinistra di poter governare l'Italia con il Movimento 5 Stelle

Riccardo Mazzoni
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Il Pds-Ds-Pd, privo per difetto congenito di un’autentica bussola riformista, si è sempre aggrappato a suggestioni straniere per rafforzare il suo deficitario messaggio politico, omaggiando di volta in volta Lula, Zapatero, Obama, perfino Hollande. Ora che i sondaggi delle amministrative nelle grandi città sembrano da tradizione sorridergli, autorevoli opinionisti di area stanno anch’essi guardando all’estero per costruire un’equazione temeraria: quella che prendendo spunto dalle vittorie di Biden in America e della sinistra in Danimarca e in Norvegia, sommate all’insperato recupero elettorale dell’Spd in Germania, arriva alla conclusione che l’alleanza Pd-Cinque Stelle potrebbe vincere le prossime politiche, nonostante l’attuale, consolidata prevalenza del centrodestra a livello nazionale. Ma sembra più un’operazione da aruspici che un’analisi politica basata sui fatti. Già, perché dove è riuscita a vincere in Europa, la sinistra lo ha sempre fatto puntando al centro, con un occhio attento al ceto medio produttivo e con politiche migratorie più vicine a Salvini che a Minniti. Una linea che il candidato socialdemocratico tedesco Scholz ha sintetizzato con lo slogan «Er kann Kanzlerin» quindi «può fare la Cancelliera», indirizzando quindi il proprio mandato – se lo otterrà – sulla continuità, e non su un deciso spostamento a sinistra dell’asse politico.

 

 

Il fatto è che, abbagliandosi di luce riflessa dei successi altrui, il Pd ha sempre eluso la questione fondamentale, ossia che la sinistra italiana da sola non è mai stata in grado di guidare decentemente il Paese. In uno stralcio del suo nuovo libro, Prodi ricorda la fine anticipata dei governi da lui guidati, il primo fondato sull’alchimia della desistenza tra Ulivo e Rifondazione comunista, il secondo e ultimo che invece sancì una vera e propria alleanza di governo con la sinistra radicale, sia pure allargata al centrino di Mastella. Senza nessuna vera autocritica, il Professore scarica tutte le colpe di quei fallimenti sull’irresponsabilità di Bertinotti, senza andare ai motivi profondi della crisi della sinistra, che non è solo una crisi politica, ma sistemica, perché, tramontati i vecchi leader della stagione comunista, è rimasta solo una classe di burocrati che non riesce ad uscire dal recinto dei suoi retaggi ideologici ed è incapace di rinnovarsi, tesa solo a perpetuare la sua sopravvivenza al potere. Il Pd è l’epigono e il capolinea di quell’alleanza conservatrice che fu identificata come cattocomunismo e che prese corpo negli anni ‘70, si sviluppò col demitismo e passò indenne dalla mannaia di Tangentopoli. Un partito di potere che ha smarrito i suoi riferimenti sociali riducendosi a mero punto di riferimento degli interessi consolidati.

 

 

Ora l’alleanza strategica con i Cinque Stelle propugnata da Bettini e incarnata dall’abbraccio Letta-Conte è l’ultima frontiera di un percorso contraddittorio e foriero di nuovi fallimenti, perché se il Bertinotti dell’Unione fallita era inaffidabile – e lo era – il Movimento provvisoriamente affidato da Grillo all’Avvocato del popolo è un magma politico ancora più inafferrabile, per cui governare insieme si rivelerebbe una pericolosa avventura. Pericolosa per l’Italia, ovviamente. Fortunatamente è un’ipotesi dell’irrealtà, a meno che il centrodestra non riesca nel capolavoro di sperperare un patrimonio di consensi che, nonostante le divisioni attuali, resta maggioritario nel Paese. Ma confidiamo che anche questa sia una sciagurata ipotesi dell’irrealtà.

 

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