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Draghi si ricordi di Andreatta: qualunque sia l'intervento sull'economia deve essere tempestivo

Angelo De Mattia
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Improvvisamente compaiono nel dibattito politico e pubblico due misure di cui finora non si è mai discusso: una, perché adesso sono resi noti i dati dell'aumento straordinario dei costi anche a seguito della ripresa, attenuandosi la pandemia e le restrizioni - 40 per cento per l'elettricità e 31 per cento per il gas - con le diverse ipotesi di traslazione sulle tariffe; l'altra, ormai a comparsa con periodicità almeno biennale, riguardante la riforma del catasto. Nella stessa giornata in cui si è iniziato a formulare proposte e a manifestare divisioni su questi due problemi anche all'interno della maggioranza, il premier Mario Draghi, in un intervenendo a Bologna per commemorare Beniamino Andreatta, ha ricordato una famosa frase del grande economista e statista che si esprime così: "Le cose vanno fatte perché si devono fare, non per avere un risultato immediato". Naturalmente, vi è un Andreatta del "divorzio consensuale" Tesoro-Banca d'Italia del 1981, che esaltò l'autonomia di quest'ultima, e della soluzione del caso Ambrosiano, nella costruzione della quale, insieme con la Vigilanza, non esitò, lui cattolico rigoroso e osservante, a muovere con coraggio e alto senso dello Stato dure critiche allo Ior e ai prelati che in esso lavoravano, per i legami con la predetta vicenda: cosa che gli costò, come allora si disse,  dati i rapporti che si instaurarono con la Santa Sede, la conferma nella carica di Ministro del Tesoro; vi è, poi, un Andreatta delle riforme bancarie, dell'infornata dei professori universitari ai vertici degli istituti di credito pubblici, ma anche un Andreatta dell'intesa con il Commissario europeo Van Miert per la fine dell'Iri e la privatizzazione delle partecipate che ancora oggi sono oggetto di un non concorde, spesso articolato giudizio.

 

 

Ma tornando al "fare", ora è necessario che si chiarisca, al massimo livello, come il Governo intende agire per le tariffe e il catasto. Non sembra una scelta felice introdurre una riforma di quest'ultimo, imperniata sulla tassazione non più dei vani, ma della superficie degli immobili, nella ancora ignota legge di delega per la riforma fiscale, anche se si afferma che l'operazione avverrebbe a parità di gettito.  Tuttavia sarebbe importante la distribuzione che richiederebbe ampi approfondimenti con riferimento anche ai diversi centri urbani. Non si tratta di una misura che si possa affrontare semplicisticamente, soprattutto in una proposta di riforma fiscale che sembra avere già abbandonato l'idea di organicità e completezza enunciata agli esordi dell'Esecutivo anche con i richiami alla riforma Visentini del 1973-74. Non si inciderebbe in maniera adeguata sull'Irpef, non si affronterebbero le spese fiscali, le "tax expenditures", non si riorganizzerebbe la tassazione societaria, non si farebbero ulteriori passi nei meccanismi che devono potenziare l'azione contro l'evasione e l'elusione, ma nel piccolo calderone che rischia di divenire la riforma si getterebbe quella del catasto che, invece, richiede di non emergere " ex abrupto" e per di più in una fase di ripresa ancora incerta dopo le penalizzazioni causate dagli impatti del covid. Almeno per ora questa della revisione del catasto non potrebbe essere inserita tra le "cose che si devono fare", secondo l'espressione di Andreatta.

 

 

L'opposto vale per le tariffe: in questo caso il Governo deve tempestivamente dire come intende procedere, tra le diverse misure di cui si parla: sterilizzazione dell'Iva per la parte che riguarda l'aumento - avendo presente, però, che questa è un'imposta pure comunitaria - o decisa mitigazione degli oneri anti-inquinamento che gravano sulle tariffe o altre pur possibili misure. Un fatto è certo: un maggior costo, per le famiglie innanzitutto, del tipo indicato non sarebbe ammissibile: di qui l'esigenza di un intervento rapido del Governo, come ha già fatto quello spagnolo. Ma, nel contempo, si pone la necessità di tener conto della transizione nella quale ci troviamo. Bisogna prevenire una condizione nella quale si continua a sostenere il peso del passato, ma non si beneficia ancora, con le nuove energie per esempio, delle nuove condizioni. Non si è più e non si è ancora. Il raccordo con il Piano di ripresa e resilienza deve tener conto anche del breve termine. Ciò varrà anche per altre materie. E' importante che vi si rifletta e si informi l'opinione pubblica. E' un'altra delle cose che si devono fare.

 

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