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A 20 anni dall'11 settembre confermata la profezia della Fallaci

Riccardo Mazzoni
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Il ventesimo anniversario delle Torri Gemelle si incrocia col quindicesimo della morte di Oriana Fallaci, che cade il 15 settembre, e le due date sono legate a filo doppio, perché fu dopo l’attentato di New York che la più grande scrittrice italiana smise di curare il suo cancro – l’Alieno - per dedicarsi, anima e corpo, a contrastare quello cosmico del fondamentalismo islamico. Dopo la sua morte Franco Zeffirelli scrisse: «Noi non potremo né dovremo seppellirti nell’oblio, cara Oriana, perché tu avevi visto prima il pericolo che ci sovrastava e l’avevi urlato con tutta la tua forza a un mondo di sordi, di ciechi, di vigliacchi».

Oggi che l’Afghanistan è di nuovo in mano ai talebani, col rischio di ridiventare un santuario del terrorismo, il messaggio della Fallaci riacquista una terribile attualità. Già, perché anche solo ipotizzare un abbozzo di dialogo con un premier iscritto nella lista Onu dei terroristi più pericolosi e col ministro dell’Interno ricercato dall’Fbi, pare più un sogno da anime belle che un trattato di Realpolitik. Per Oriana, l’Islam è un’unica immensa palude: «Continua la fandonia dell’Islam moderato, la commedia dell’intolleranza, la bugia dell’integrazione» – scrisse dopo la strage di Londra. Un monito a non illudersi che ci sia un jihadismo “buono” e uno “cattivo”, come invece sembrano credere (ancora!) certi commentatori che, dopo l’attentato dell’Isis all’aeroporto di Kabul, si sono cimentati in una distinzione secondo cui, in fondo, i talebani sarebbero diventati “moderati”, e che la vera minaccia per l’Afghanistan sia ora da individuare nei loro nemici interni, più estremisti di loro. Ma è solo una folle illusione».

Lo scomposto ritiro dell’Occidente, in realtà, ha messo in moto un Risiko che, oltre a sfregiare in modo irreparabile l’immagine e la credibilità degli Stati Uniti, avrà inevitabilmente ricadute anche in un’Europa disorientata e divisa. L’Occidente ha bandito da tempo la parola «guerra», ormai imperversa la dottrina politicamente corretta secondo cui esportare la democrazia con le armi è stato solo un tragico abbaglio storico. Come se la libertà non fosse una conquista da difendere ogni giorno con le unghie e con i denti, anche in patria, ma una quieta eredità, un diritto immutabile delle nuove generazioni. Come se il «Risveglio islamico» nato con la rivoluzione khomeinista del ’79 non si proponesse di risvegliare la moltitudine islamica nel mondo da un letargo lungo trecento anni per affrancarla dalle imitazioni contaminanti dell’Occidente secolarizzato e decadente. L’unico strumento per la rinascita sarebbe dunque il ritorno alla fede e alla disciplina originaria del primo Islam.

La lunga consuetudine col socialismo arabo ha insegnato agli ideologi del terrore l’arte dell’organizzazione attraverso cellule segrete altamente disciplinate e ben addestrate. Ebbene, Oriana Fallaci conosceva profondamente l’Islam fondamentalista, le sue regole, la sua insopprimibile voglia di morte, e sapeva che troppe moschee vengono trasformate «in caserme, in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi». Fino alla morte, non si è mai stancata di ripeterlo, incurante dell’isolamento culturale e del disprezzo dell’intellighenzia occidentale.

Eppure apparve subito evidente, dopo la spaventosa carneficina dell’11 settembre che nulla sarebbe più stato come prima. Invece ha prevalso il giustificazionismo, il pentitismo storico di un’Europa arcobaleno e senza più identità, secondo cui il terrorismo sarebbe solo il frutto avvelenato degli inevitabili risentimenti nei confronti dell’Occidente sopraffattore. Nulla importava se l’Internazionale del terrore era guidata da un club di miliardari che avevano studiato nei college, o se chi organizzò l’attacco alle Torri Gemelle proveniva da una famiglia facoltosa di Amburgo. La colpa era solo della fame e della povertà a cui erano stati condannati i Paesi arabi, del Satana amerikano e di Israele che difende il suo diritto ad esistere. Quella dei terroristi è invece solo una colpa riflessa e dunque attenuata. Da questa narrazione nasce il mito imperituro del «dialogo». Lo vogliono i pacifisti e lo pretende la sinistra, senza rendersi conto che il dialogo a senso unico significa solo la resa.

Un manuale di addestramento di Al Qaeda trovato a Londra nel ’93 diceva testualmente: «Il confronto che si vuol aprire con i regimi apostati non è fatto di dibattiti socratici, né di dialoghi platonici o di diplomazia aristotelica. Conosce solo il dialogo delle pallottole, gli ideali dell’assassinio, delle bombe e della distruzione e la diplomazia delle mitragliatrici e del cannone».

Ecco: la parola d’ordine della vittoria talebana in Afghanistan «Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo» è solo il sinistro complemento del motto di tanti terroristi islamici: «Voi amate la vita e noi amiamo la morte». Una dichiarazione di guerra all’Occidente in ritirata.
 

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