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La sinistra illiberale rischia di togliere libertà al mondo

Benedetta Frucci
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L’ultimo numero dell’Economist mette in guardia sulla minaccia alla democrazia liberale proveniente da sinistra, una sinistra illiberale che parte da messaggi elitari declinandoli in un racconto populista non meno pericoloso di quello tradizionalmente proveniente da destra. Non è una denuncia irrilevante, non solo perché lanciata da un autorevole settimanale liberale, ma perché proviene da una società, quella inglese, ormai fortemente condizionata dal pensiero unico dell’estremismo progressista. Più volte dalle colonne di questo giornale ho provato a raccontare come il fragile equilibrio delle democrazie occidentali fosse minacciato, con messaggi diversi fra loro ma altrettanto illiberali. Le costituzioni democratiche fondano il loro essere su un complicato e fragile equilibrio fra diritti e libertà, fra interesse pubblico e tutela delle minoranze. L’estremismo progressista, così come la democrazia illiberale o se volete «sovrana», come quella russa e ungherese, rompe questo equilibrio ponendo come stella polare dell’azione statale una morale, un’etica, che si trasforma in un pensiero unico.

 

 

E così, se la democrazia liberale riconosce e difende la libertà di espressione, ponendovi come limite la tutela della dignità umana e quindi costruendo un ordinamento che prevede reati come la diffamazione a mezzo stampa, l’estremismo progressista vorrebbe al contrario la censura di tutto ciò che non è in linea con il pensiero unico che propone. La cancel culture ne è la rappresentazione più efficace e allarmante: dilaga nelle università, dove viene impedito ai docenti non allineati di parlare, nelle piazze, dove vengono abbattute statue, nel giornalismo, dove si impongono modalità espressive che non offendano la sensibilità di alcuno. Da Stato di diritto si passa così rapidamente a Stato etico: censura, dimissioni, repressione e gogna pubblica per chi non è allineato. Dalla difesa di principi sacrosanti, all’ imposizione di modelli comportamentali. Un fenomeno che dilaga nei Paesi anglosassoni e che con fatica cerca di affermarsi anche nell’Europa continentale, dove si accompagna a un attacco alla libertà economica. La sinistra alla Blair viene dipinta come un’esperienza superata, «di destra» e il modello proposto è quello novecentesco, che recupera dal marxismo l’avversione per la ricchezza e che trova nell’estremismo ambientalista un comodo paravento per inseguire modelli di decrescita ed egualitarismo.

 

 

Dal lato opposto, l’attacco alla democrazia liberale è basato su un populismo securitario, che rispolvera la vecchia immagine di uno Stato forte, che protegge il cittadino dall’invasione straniera, che si professa anticomunista ma poi cerca il dialogo - e i soldi- della Cina. Una visione anch’essa etica e moralista, dove i diritti della maggioranza schiacciano le minoranze, dove lo Stato entra prepotentemente nella vita dei privati proponendo modelli comportamentali e sociali. Entrambi i populismi puntellano lo Stato di diritto, scrive a ragione l’Economist. Con una differenza, aggiungo io. Mentre quelli di destra sono ampiamente scandagliati e denunciati, quelli di sinistra vengono lasciati liberi di dilagare, tollerati, quasi accarezzati. Un po’ come quando si finge di dimenticare i milioni di morti causati dai regimi comunisti. La tolleranza dei liberali verso tali estremismi, che ne diventano preziosi alleati come scrive il settimanale inglese, è evidente: il problema però non risiede a mio avviso tanto nell’alleanza, bensì nello schiacciamento dei riformisti sulle posizioni populiste. Il Pd nei confronti del Movimento Cinque Stelle ne è l’esempio più plastico. Anziché romanizzare i barbari, si stanno barbarizzando i romani.

 

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