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Vaticano in campo per ottenere dai talebani i corridoi umanitari

Luigi Bisignani
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Caro direttore, il dopo Kabul potrebbe diventare un inferno. Un rapporto dell’Intelligence, che circola nei nostri Palazzi di Governo, apre scenari inquietanti. Forse solo un’iniziativa riservata, da parte della Segreteria di Stato Vaticana, potrebbe esserci miracolosamente d’aiuto. Testa o Croce quindi.

«L’alert», classificato «rischio alto», annuncia una nuova ondata di immigrazione e, soprattutto, il pericolo terroristico «elevato» a livello 3 su 5. Del resto, prima della drammatica fuga degli americani dall’Afghanistan voluta dal novello «Badoglio» Biden, il ministro degli Esteri Di Maio, concludendo il vertice con gli 83 paesi della Coalizione globale anti Isis, ha affermato: «La minaccia è particolarmente allarmante nel continente africano. Per questo motivo ho proposto di istituire un Gruppo di Lavoro dedicato all’Africa, che possa identificare e fermare le minacce terroristiche». Un allarme che la capa dell’intelligence Elisabetta Belloni ha declinato anche davanti al Copasir. Due mesi fa al vertice della Coalizione non si era parlato specificatamente di Libia e Tunisia, che oggi appaiono i due convitati di pietra. Sono molteplici i temi che vengono valutati dai Servizi di sicurezza alla luce della presa di potere dei Talebani che hanno sbaraccato i segni del ventennio di «peacekeeping» più in fretta del rave party di Viterbo.

Basta tornare indietro al 2014, quando i jihadisti proclamarono la nascita del Califfato Islamico in Iraq e in Siria, ne seguì un’ondata di attentati terroristici: dagli attacchi ai bagnanti in spiaggia, al Museo del Bardo in Tunisia. Non fu risparmiata l’Europa, con le carneficine soprattutto in Francia, Belgio e Germania. Questi attentati non erano però il frutto di un’organizzazione militare coordinata, ma singole iniziative di lupi solitari spinti da spirito di emulazione. La triste constatazione è che l’Islam politico ha già dimostrato di poter sconfiggere gli Usa, con l’Europa di Merkel, Macron e Draghi, purtroppo, non pervenuta.

Il pericolo imminente è che la clamorosa rivincita dei Talebani potrebbe rivitalizzare il fanatismo islamico. Ed è questo lo scenario che personalità del calibro del sottosegretario alla sicurezza Franco Gabrielli e il capo dell’Aise Gianni Caravelli paventano al premier che alla prima prova sullo scenario internazionale, come Presidente di turno del G20 appare titubante. Le immagini di Kabul sono terribili. Il parallelo mediatico tra i poveretti che precipitano dagli aerei al decollo e chi cadeva dalle torri gemelle in fiamme è immediato. Ma il raffronto più pertinente è con la caduta di Saigon. Ora, come allora, la forza profonda è l’aggiustamento dei rapporti tra Usa e Cina. Saigon cadde nel 1976, pochi anni dopo la visita di Nixon a Pechino, quando ancora Washington e i comunisti cinesi non avevano ripristinato rapporti diplomatici. Kabul è caduta dopo solo un anno dagli accordi di Trump a Doha con i Talebani. È in corso un conflitto aperto tra Governi che si potrebbero definire tradizionalisti e fazioni fondamentaliste del cosiddetto Islam politico. Lo scontro è stato definito dalla guerra civile in Siria e Iraq tra l’Isis con la coalizione anti-Daesh appunto, ma è evidente in Egitto con Al Sisi sostenuto da Arabia, Emirati e Israele contro i Fratelli Musulmani appoggiati dal Qatar e dalla Turchia.

 

 

 

 

 

Lo stesso schieramento che si fronteggia in Libia con Haftar (con Egitto, Emirati e Russia) contro il Governo di Tripoli, riconosciuto dall’Onu e dall’Italia, ma sostenuto militarmente da Qatar e Turchia. In questo quadro la Tunisia, senza le rimesse dei migranti che un tempo lavoravano in Libia e senza le entrate del turismo per via del Covid, rischia l’implosione e a poco serve il cambio degli uomini dell’intelligence locale e gli arresti dei parlamentari. Il pericolo islamista in Tunisia è molto alto. È il Paese che in assoluto ha fornito all’Isis più «foreign fighters», che potrebbero anche tornare.

Se nel mondo ci sarà un’altra serie di attacchi per affermare il potere dei Talebani, il terreno in Libia e in Tunisia è già pronto. Per l’Europa così sbandata sarà dura. Gli americani si sono da tempo ritirati dalla Libia e sostanzialmente da sempre disinteressati della Tunisia e del resto dell’Africa. Se la vittoria talebana dovesse rilanciare il terrorismo jihadista dall’Africa verso l’Europa il problema non sarà loro.

L’Italia potrebbe però essere risparmiata, se non dagli sbarchi, almeno da possibili attentati perché si è inaspettatamente aperto un canale riservato tra Santa Sede e Talebani per creare un reale corridoio umanitario, cosa che l’Europa tra mille inutili chiacchiere non è riuscita a organizzare. Per renderlo possibile, sotto la spinta di Bergoglio, sta lavorando la Segreteria di Stato e la Congregazione delle Chiese Orientali con una triangolazione che passa dalla Turchia di Erdogan, e che vede nella collaborazione con i Talebani un ulteriore passo per il suo sultanato. Forse, quindi, sarà Papa Francesco con la sua iniziativa sotto traccia a tener fuori l’Italia dagli attacchi, visto che il nostro fronte interno è così disomogeneo, capace solo di frenare qualsiasi azione di politica estera che non sia una continua polemica anti-Salvini sul fronte dell’immigrazione. Per Draghi, che ha studiato dai gesuiti, potrebbe essere un altro gesuita a corrergli in aiuto. Una mano lava l’altra.
 

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