Draghi inciampa sulle nomine: da Fabio Barchiesi in Cdp al flop di Luigi Ferraris per il capo Anas
Qualcosa non funziona nel meccanismo di scelta e selezioni dei manager delle aziende e degli organismi pubblici nel governo Draghi. Il premier non può certo seguire tutti i dossier. Troppe sono le priorità sul suo tavolo: dall'emergenza pandemica al piano di ripresa. Dunque è impossibile non delegare alcune materie. Ma nel tratto che va da lui a chi decide nomi e curriculum per le poltrone qualcosa non funziona perfettamente.
Il caso di Fabio Barchiesi, passato dal Coni Lab alla funzione di capo staff di Dario Scannapieco, è esemplare. Nessuno contesta qualità e curriculum ma a difettare è la comunicazione poco chiara che si è fatta sulla sua investitura. Anche perché il polverone mediatico che si è alzato attorno al manager, etichettato come fisioterapista ma dotato di validi titoli gestionali, è tornato inesorabilmente sulla scrivania di Draghi. La polemica era logica.
In questo momento, infatti, la gestione della Cdp ha un ruolo cruciale e la scelta di una posizione del genere andava meglio spiegata. E adeguatamente supportata viste le prevedibili, anzi ovvie, critiche. Sul tema, dunque, pare che Draghi non abbia così buoni consiglieri, o controllori.
Basta pensare a un altro punto nevralgico per la spesa dei fondi Ue del piano di Resilienza e ripresa. E cioè l'Anas, che nonostante gli sforzi dell'ad delle Ferrovie dello Stato, Luigi Ferraris, nell'indicare il nuovo vertice, è ancora acefala. Una telenovela iniziata con lo scivolone sulla chiamata di un ex uomo dei Benetton, Ugo De Carolis, che è un ex capo di Aeroporti di Roma, società controllata dalla Atlantia dei Benetton. E, dunque, riconosciuto come uomo assai vicino a Giovanni Castellucci, imputato a Genova per la tragedia del Ponte Morandi. Scelta rinviata al mittente. Si è trattato di una leggerezza (bastava andare sul web per capire che la candidatura fosse rischiosa) ma non perdonabile a un manager di livello come Ferraris. Anche lui, forse mal consigliato, non ha condiviso il nome prima del cda decisivo con l'amministrazione di riferimento (il Mef) e soprattutto con Palazzo Chigi. Una nota del sottosegretario della presidenza del consiglio, Roberto Garofoli, ha reso evidente l'irritazione per la scelta solitaria dell'ad delle Ferrovie dello Stato.
Insomma un pasticcio confermato dalla fumata nera del secondo cda di Anas e al rinvio, a settembre, di ogni decisione. Il segno tangibile che forse anche nella nomina di Ferraris a capo di Ferrovie dello Stato qualcosa non abbia funzionato a dovere. E che lo stesso capoazienda dovrebbe circondarsi di persone fidate più avvezze a gestire le dinamiche complesse e bizantine dei palazzi del potere di Roma. Non è finita.
A confermare che il processo di selezione sia un po' arrugginito è anche l'arrivo di Andrea Ripa di Meana alla poltrona di presidente e ad del Gse, ente che gestisce circa 18 miliardi di incentivi alle energie rinnovabili. Una scelta generata nell'alveo delle conoscenze del fidato consigliere del premier, Francesco Giavazzi. E sollecitata anche dal capo di Gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello, su input del commissario europeo, Paolo Gentiloni. A far meditare è stata non tanto l'investitura del manager (anche se va segnalato che l'esperienza gestionale è un po' risicata, visto che il suo passaggio alla Cassa conguagli non è annoverato tra i momenti memorabili della storia dell'ente) quanto il fatto che con la sua nomina, fortemente sponsorizzata dal Pd, è stato abolito il cda.
Niente più consiglieri dunque, ma un solo uomo al comando, Ripa di Meana, amministratore unico appunto, che sarà anche l'unico riporto del magistrato delegato della Corte dei Conti chiamato a vigilare sulla correttezza dell'operato aziendale. Con la conseguenza che, mentre prima il togato poteva contare su più voci per approfondire e vagliare le scelte della direzione, ora il contraltare sarà unico e l'azione di controllo depotenziata. Una scelta fortemente criticata dalla Lega ma sulla quale il M5s, che della trasparenza ha fatto ragione di vita, non ha detto una sola parola.