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Accuse e raccolte di firme, l'ultima pagliacciata contro Durigon

Francesco Storace
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Contro Claudio Durigon va in scena una pagliacciata immonda. Addirittura le prime pagine dei giornaloni. E persino la solita petizione lanciata dal solito Fatto Quotidiano. Fango nel ventilatore. Io ho ascoltato quelle parole. Stanno su YouTube, e chiunque può sentirle. Su un palco a Latina. In un comizio di quelli che i partiti non fanno più: per ascoltare Matteo Salvini e la Lega quella sera nel capoluogo pontino non c’era bisogno di avere un green pass. Erano troppi da controllare...Lo scandalo del parco Arnaldo Mussolini è durato due secondi. Due.

Senza mai citare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (e quindi Salvini che stava lì da che doveva prendere le distanze? Quanti sanno, se non sono della città, a chi è intitolato quel parco?). Per chi non lo sapesse, Arnaldo Mussolini è salito in cielo nel 1931, 14 anni prima della fine della seconda guerra mondiale. Eppure, tutto questo scatena un vespaio. Polemiche sanguinose. Offese alla repubblica. Democrazia in pericolo. Diceva Alberto Sordi: «Ma te c’hanno mai mandato...».

Certo, l’esponente leghista poteva non fare riferimento a quel parco che per anni è stato intitolato proprio ad Arnaldo Mussolini. Ma qual è il reato commesso dal sottosegretario Claudio Durigon? Dove sta l’apologia di fascismo? Tutti quelli che ululano come bestie ferite non hanno usato tanta indignazione per altri casi vergognosi. Più contemporanei diciamo. Che davvero dovrebbero far vergognare i protagonisti, ma che continuano a stare comodamente nelle loro poltrone.

C’era una volta – e c’è ancora – la pandemia. L’Italia è l’unico paese al mondo ad avere avuto un ministro della salute, Roberto Speranza, che scriveva un libro autoglorificandosi, salvo poi doverlo precipitosamente ritirare dalla circolazione. È normale tutto questo? Ma a Durigon non sono concessi due secondi di parole. Siamo il Paese che scheda i suoi cittadini. Se andiamo al ristorante si può sapere che non abbiamo il Covid. Se non ci andiamo scatta l’equazione no green pass quindi sei malato. Però il ministro dell’interno che dovrebbe far controllare l’operazione è la stessa che se scrivi che è risultata positiva al Covid sguinzaglia le forze dell’ordine per scoprire chi ha dato la notizia ai giornalisti. Il cittadino comune non potrà mai disporre degli agenti. Però è Durigon che se ne deve andare.

Si chiedono le dimissioni del leghista, ma resta sottosegretario – restituendo solo le deleghe – quel Tabacci che ha piazzato suo figlio presso Leonardo. Che non è un suo amico, ma un’azienda di quelle serie nella difesa, nell’aerospazio, nella sicurezza. Gli stipendi di papà e figlio restano intonsi. Poi ci si mettono quelli che hanno bisogno di restare al loro posto, come deputati a vita. Un troppipartiti come Elio Vito, deputato all’ottava legislatura con Forza Italia, vuole sfiduciare Durigon. Dimentica quando Antonio Tajani fu crocifisso da presidente del Parlamento europeo per aver osato dire che Mussolini (Benito, non Arnaldo) fece anche cose buone. Non lo ricordiamo, Elio Vito, averne chiesto le dimissioni. E pure Berlusconi sul tema non ci è certo mai andato tenero.

Tutto questo è molto strumentale, anche perché Durigon ha un solo difetto. Non è affatto fascista e anche questo è un gran peccato, avrebbe vergato Antonio Pennacchi. È di origini venete, da cui discendono i coloni che bonificarono la palude pontine. Nacque Littoria. Che fu esaltata anche da Pietro Ingrao in versi, che nessuno gli rinfacciò quando divenne presidente della Camera.

Sì, è una pagliacciata questo «caso», per colpire in alto. Nel mirino torna Salvini. Un giorno tocca a lui come è toccato a Berlusconi e il giorno dopo tocca alla Meloni, come capita sempre più spesso. Persino al presidente delle Marche Acquaroli (FdI) hanno rinfacciato una cena d’ottobre.
È la legge della sinistra che comanda. Guai alla destra col complesso di inferiorità. Al prossimo comizio Durigon racconti la storia di Littoria, almeno ne vale la pena. E che un uomo perbene come Mirko Tremaglia fece il ministro. Aveva militato nella Rsi.
 

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