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L'affare Benetton sul tavolo di Draghi. Interpellanza al governo sulla vendita del palazzo dell'Inps

Alberto Di Majo
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L’affare Benetton-Bulgari di Piazza Augusto Imperatore arriva sul tavolo del governo. I deputati di Fratelli d’Italia hanno chiesto ai ministri dell’Economia Franco e dei Beni culturali Franceschini una serie di chiarimenti sulla vendita del complesso immobiliare nel cuore di Roma, di cui Il Tempo s'è occupato quasi un anno fa. Benché l’allora governo Conte, trainato dal M5S, avesse annunciato di voler rivedere le concessioni autostradali date alle società dei Benetton (erano passati appena 4 mesi dal crollo del ponte Morandi a Genova), il palazzone di proprietà dell’Inps tra via del Corso e il lungotevere è stato venduto proprio agli imprenditori veneti a condizioni che hanno suscitato molti dubbi.

 

I Benetton hanno acquistato il gigantesco immobile per 150 milioni di euro, con tanto di permesso per trasformarlo in albergo e via libera del ministero dei Beni culturali. Dopo sei mesi l’hanno dato in affitto alla maison Bulgari (a 15 milioni all’anno per 10 anni) che ci aprirà, appunto, un hotel di lusso. Un’operazione che, secondo i deputati di FdI, potrebbe essere un grande regalo agli imprenditori a spese dei cittadini, visto che 150 milioni, incassati dallo Stato per la vendita, sarebbero stati raggiunti con solo dieci anni di canoni di locazione, cosicché quelli successivi avrebbero permesso all’erario, e dunque a tutti i cittadini, di beneficiare di maggiori introiti.

 

Ma c’è anche un’altra questione. Nel palazzo c'è un unico appartamento ancora abitato: l’inquilino ha più di 90 anni e paga regolarmente l’affitto dagli anni Sessanta ma non ha mai ricevuto, come la legge prescriveva, la possibilità di esercitare il diritto di prelazione (lui stesso aveva sollecitato negli anni l’Inps a riconoscerglielo). Non solo. Benché la Asl abbia certificato l’impossibilità di mandarlo via, a causa di una serie di patologie che potrebbero portarlo alla morte, ha ricevuto lo sfratto e sta froteggiando una battaglia complicata.

 

Andiamo con ordine. Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli (primo firmatario) e i deputati di Fratelli d’Italia hanno presentato pochi giorni fa un’interpellanza al ministro dell’Economia e al ministro dei Beni culturali per ricostruire la vicenda e chiedere un intervento immediato. La storia l’ha rivelata il nostro giornale: nel dicembre 2018 la società immobiliare Edizione Property, che appartiene ai Benetton, ha acquistato per 150 milioni dal Fip (il fondo che doveva vendere gli edifici pubblici) l’immobile di 22mila metri quadrati che si affaccia sull’Ara Pacis. Appena sei mesi dopo, nel luglio 2019, la società degli imprenditori veneti ha concesso l’edificio in locazione a Bulgari (secondo il contratto con dieci anni di affitto sarà rientrata delle spese di acquisto). Tutto legittimo, benché il prezzo di vendita appare basso, visto che il valore stimato dell’edificio era compreso tra 187 e 210 milioni di euro. Ma l’anomalia riguarda anche il doppio ruolo degli attori: tra i principali azionisti di Investire Sgr, la società a cui il Demanio ha affidato la gestione dei beni messi nel fondo pubblico, figurava Regia srl, controllata proprio dai Benetton (la srl detiene il 20 per cento di Edizione Property, la scatola immobiliare degli imprenditori veneti).

 

Altra questione rilevante è che l’immobile sia stato venduto già con le autorizzazioni per essere trasformato in albergo: la pratica per il cambio di destinazione d’uso è stata richiesta il 14 novembre 2016 e autorizzata dal Comune di Roma nel 2017, quando il palazzo era ancora di proprietà pubblica.

Ma allora perché il Fondo, che per legge deve valorizzare gli immobili che gli affida lo Stato, non ha pensato di metterlo a reddito concedendolo in affitto, senza venderlo ma lasciandolo nelle mani pubbliche, invece di consentire di farlo al gruppo Benetton?

 

Del palazzo facevano parte anche quattro appartamenti a uso residenziale, di cui tre apportati al Fip, in violazione del decreto ministeriale del 23 dicembre 2004 e del regolamento del Fondo Fip che escludevano gli edifici residenziali dalla procedura. L’unico immobile non trasferito è stato apportato al Fondo I3 Inps, gestito da Invimit, nel giugno 2018: è abitato dal 1967 da un ex dipendente dell’istituto, che ha 92 anni e un’invalidità al 100 per cento ma ha ricevuto lo sfratto benché i medici della Asl abbiano messo nero su bianco la seguente prescrizione: «Deve assolutamente evitare stress psicofisici per elevato rischio di instabilizzazione emodinamica e morte improvvisa». E poco conta, evidentemente, che nel nostro Paese ci siano tantissimi edifici occupati, anche in condizioni precarie, che attendono da anni lo sgombero. Una beffa per l’inquilino, visto che avrebbe il diritto di opzione all’acquisto dell’immobile ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del decreto-legge n. 351 del 2001, come riconosciuto dallo stesso INPS: «(..) il Fondo e per esso la Società di Gestione si impegnano ad applicare in sede di offerta in opzione agli aventi diritto lo sconto sul valore di mercato previsto dalle norme applicabili». Ma non è mai stato riconosciuto: Invimit, la società pubblica che gestiva l’immobile, invece di offrire in opzione all’inquilino (peraltro in regola con i pagamenti per più di cinquant’anni) l’acquisto dell’appartamento, ha disdetto il contratto.

Rampelli e gli altri parlamentari di FdI mettono anche l’accento sull’altro edificio che fa parte del complesso immobiliare, che ospita locali commerciali, tra i quali fin dal 1948 lo storico ristorante «Il Vero Alfredo», iscritto nell’Albo dei negozi storici di eccellenza del comune di Roma, ai quali anche, ma per motivi diversi, è stata negata la possibilità di esercitare il diritto di prelazione: «La cessione dell’immobile - lamentano i deputati - è avvenuta mediante trattativa privata senza procedura pubblica di gara e, aspetto non meno importante, senza alcuna preventiva e obbligatoria informativa nei confronti dei titolari dei ristoranti, che avrebbero potuto partecipare alla gara pubblica per l’acquisto del complesso immobiliare, in violazione della disciplina dettata dai decreti del ministero dell’Economia e delle Finanze del novembre 2002 e 2003 e degli articoli 3, 3 bis e 4 del decreto-legge n. 351 del 2001, del principio di trasparenza e del diritto di prelazione riconosciuto al conduttore di un immobile a destinazione commerciale».

 

Fratelli d’Italia chiede dunque a Franco e a Franceschini «di quali informazioni disponga il governo per fare chiarezza sull’operazione immobiliare e se non ritenga necessario avviare un’ispezione anche in relazione a un eventuale danno erariale, perché se il patrimonio pubblico del Fip deve essere valorizzato, secondo gli interpellanti per lo Stato sarebbe stato più conveniente mettere a reddito l’immobile e affittarlo direttamente». Ovviamente i deputati vorrebbero sapere dal governo Draghi pure «quali iniziative di competenza intenda assumere per impedire che un anziano invalido di 92 anni possa essere illegittimamente sfrattato», oltre che «come sia stato possibile il cambio di destinazione d’uso dell’immobile in un’area dove insistono vincoli archeologici e architettonici per consentire la realizzazione di un hotel di lusso, che ne ha, quindi, stravolto anche gli spazi interni». Infine, Rampelli e gli altri domandano ai ministri «come sia stato possibile realizzare l’operazione immobiliare senza indire una gara pubblica, con grave pregiudizio del diritto di prelazione e opzione previsti in capo ai titolari dei locali commerciali interessati» e «per quali motivazioni il Mibact abbia rinunciato al diritto di prelazione». Tanti interrogativi a cui il governo, si spera, darà presto risposta.

Alberto Di Majo

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