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La rivolta dei senzapoltrona del Movimento 5 Stelle: la ripicca dopo essere stati fatti fuori

Carlo Solimene
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Che poi, alla fine, il discrimine tra l’essere incendiari o pompieri sta sempre lì, nella (un tempo) odiata poltrona. Se ce l’hai ancora, ti avventuri in ragionamenti simildemocristiani sulla nobiltà del compromesso, sul male minore, sul «pensate a cosa sarebbe successo se noi non fossimo stati in maggioranza». Se invece l’hai persa, dentro l’animo ti si riaffacciano sensazioni ribelli che pensavi sopite. Ed è tutto un «non mi riconosco più in queste decisioni», «dobbiamo tornare quelli delle origini», fino al più classico dei leit motiv: «Dobbiamo ascoltare la base». In fin dei conti la storia recente dei dissapori grillini può essere letta esattamente così, come un’eterno contrapporsi tra chi ha un posto nel governo ed è governista e chi l’ha perso (o non ce l’ha mai avuto ma pensava di meritarselo) ed è per il ritorno sulle barricate. L’ultima conferma è arrivata ieri, dal voto sulle pregiudiziali di costituzionalità della riforma Cartabia dove a marcare visita sono stati bel 41 parlamentari del MoVimento 5 stelle (immaginate fosse accaduto il contrario, che a mancare fossero stati, per dire, quelli di Forza Italia: «La Casta di domenica primo agosto preferisce il mare al voto alla Camera! Vergogna! O-ne-stà!»). Ebbene, tra i 41 assenti ci sono nomi celebri.

 

 

Come ad esempio quello di Riccardo Fraccaro, ex ministro per i Rapporti col Parlamento nel Conte I, ex sottosegretario a Palazzo Chigi nel Conte II, rimasto tristemente solo «ex» nel Draghi I. Ora, sicuramente l’assenza di Fraccaro sarà casuale e giustificata. Eppure, nelle ultime settimane, a seguire i suoi profili social non si trova una dichiarazione che sia una sulla riforma della Giustizia. Si parla di Superbonus, si fanno gli auguri a Mattarella per gli 80 anni, si disquisisce sul mese di giugno più caldo della storia, si fanno i complimenti ai medagliati azzurri di Tokyo, ma sull’argomento che più ha sfasciato i gruppi grillini neanche una parola. D’altronde - avrà pensato Fraccaro - a difendere l’indifendibile ci vada chi al governo ci è rimasto. Per tutti gli altri, c’è l’assenza tattica. A proposito di giustizia, non si sono fatti vedere a Montecitorio pure l’ex sottosegretario alla Giustizia di Conte I e II Vittorio Ferraresi («non nascondo l’amarezza per la gestione degli ultimi eventi» scrisse all’indomani dell’appoggio grillino a Draghi) e l’ex presidente della commissione Giustizia Francesca Businarolo. Mentre è da tempo una malpancista l’ex ministra della Salute del Conte I Giulia Grillo. Che ieri alla Camera non c’era, ma dovunque fosse ha trovato il tempo per scrivere un post di complimenti agli ori olimpici Tamberi e Jacobs.

 

 

L’elenco di spoltronati dissidenti sarebbe lungo. Dei quattro ministri grillini che non sopravvissero al passaggio dal Conte I al Conte II ben due hanno già mollato il Movimento: la salentina Barbara Lezzi e l’ex titolare della Difesa Elisabetta Trenta. Gli altri due sono, appunto, Giulia Grillo e, soprattutto, Danilo Toninelli. Che non ha cambiato gruppo, ma è diventato una delle voci più sferzanti tra i grillini. L’unico, per dire, a proporre che l’accordo sulla riforma della Giustizia fosse ratificato dalla base attraverso un voto sul web. Venendo respinto con perdite. Sì, perché l’altro lato della medaglia è rappresentato dagli ex barricaderi diventati improvvisamente alfieri della stabilità e della moderazione. Facile citare Luigi Di Maio, ormai ministro per legge, che minacciava l’impeachment contro Mattarella, tuonava contro il «partito di Bibbiano», frequentava i gilet gialli in Francia e ora è diventato il volto più affidabile e istituzionale del Movimento, al punto di fare persino mea culpa per l’eccessivo giustizialismo del passato. Ma la metamorfosi più sorprendente è forse quella dell’irpino Carlo Sibilia. Sottosegretario all’Interno sopravvissuto non si sa come a due ribaltoni, in passato definiva «bankster» il suo attuale premier Mario Draghi e ne chiedeva l’arresto. Nel tempo libero, poi, assediava le riunioni del gruppo Bilderberg denunciando il dominio della finanza sui destini del mondo. Arrivato Supermario a Palazzo Chigi, Sibilia ha fatto sparire i post incendiari dai propri profili social e, a chi contestava l’accordo sulla giustizia, dava lezioni di moderazione: «Se si alzano continuamente i toni, nessuna mediazione sarà mai sufficiente per le tifoserie; se invece si usa equilibrio si può raggiungere un accordo soddisfacente». Neanche Rumor avrebbe saputo dire meglio.

 

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