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L'«esperto» Mario Draghi attacca gli esperti: «Se si ascoltano troppo non si fa niente»

Angelo De Mattia
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Parlando con il ministro Dario Franceschini, il premier Mario Draghi in un «fuorionda» ha detto che se si ascoltano troppo i tecnici, poi non si fa niente. Detta da lui, che alla politica è approdato proprio per essere un tecnico di livello internazionale, se fosse una frase veramente pronunciata, sarebbe un fatto clamoroso. Sarebbe l'uomo che morde il cane. Comunque, essa riproporrebbe la «vexata quaestio» del rapporto tra scienza, tecnica e politica; tra saperi, specialismi e scelte di chi governa e di chi legifera; tra l'affidare queste ultime fondamentali funzioni per la vita dei cittadini e delle comunità agli «ottimati», i migliori scelti per la loro competenza e capacità, o, al contrario, a coloro che, invece, ricevono l'investitura attraverso il consenso liberamente espresso dai cittadini, i quali li valutano, non necessariamente per le loro capacità, attraverso le elezioni. È un dibattito che almeno da Platone in poi caratterizza gli studi in materia. Un concetto quale quello riportato, a prescindere dal fatto che sia stato espresso o no da Draghi, può comunque valere, anche nel Governo «dei migliori» a sottolineare l'importanza della sintesi tra tecnica e politica. Se si pensasse diversamente, allora veramente bisognerebbe affidare i destini del mondo ai tecnici (o presunti tali), sfociando in una tecnocrazia integrale che distruggerebbe il sistema democratico. Si andrebbe al di là anche del concetto, sul quale si comincia a riflettere, nonostante le contraddizioni, della «democrazia illiberale» e pure di quello delle «democrature». Ma ciò deve valere per tutte le scelte e le iniziative del Governo.

 

 

Compiuta l'analisi dei tecnici e valutate le loro proposte, l'opzione decisiva e le connesse responsabilità spettano alla politica, anche nel caso in cui scienza e tecnica hanno un peso fondamentale come nella sanità e, in particolare, nell'azione di contrasto della pandemia. Ciò che é avvenuto prima della scelta politica può avere un valore, ma nettamente relativo, perché in primo piano è l'organo politico che decide e si assume la responsabilità. Ciò vale per la riforma della giustizia penale; varrà per la revisione, ancor più necessaria di quella riguardante i processi penali, della giustizia civile su cui troppo si sta temporeggiando e si spera che ciò non sia dovuto all'azione di aree economiche frenanti. Vale pure per un caso che può apparire la personificazione della tecnocrazia, qual è il futuro del Montepaschi dopo l'offerta, ai fini di una parziale aggregazione, molto preliminare e tutta da confermare e valutare, di Unicredit. Tecnicamente le «avances» di quest'ultimo hanno una loro logica; ma chi potrebbe sostenere l'accettabilità alla luce degli interessi generali di un progetto che si prefigge esclusivamente di tutelare gli interessi dei propri azionisti e sembra cogliere l'occasione del risultato pesantemente negativo degli stress test ai quali è stato sottoposto l'istituto senese, facilmente prevedibile, per prospettare un'operazione che la politica deve sostanzialmente rivedere? E i pesantissimi oneri finanziari sostenuti finora dal Tesoro, dunque, dalla collettività? E le responsabilità di molti soggetti per l'acquisto sciagurato di Antonveneta?

 

 

Vale, a maggiore ragione, per la riforma del fisco per la quale deve essere chiaro chi ne trae beneficio e chi no, o ne trae un beneficio minore, e quali equilibri tra le diverse classi di percettori di reddito si stabiliscono: una tale rivisitazione non può essere neutra e allora spetta alla politica compiere la scelta, dal momento che non esistono pasti gratis. Vale per la revisione della normativa sulla concorrenza. E per la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Vale per tutto. Allora, la validità del prospettato rapporto si impone comunque, la si sostenga o no. Ecco, allora, che una verifica dei comportamenti concreti e delle proposte, per escludere che essi obbediscano solo alla tecnica, ma non impieghino questa pe raggiungere fini politici, è doverosa.

 

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