Voragine Ama
Voragine Ama, la Raggi lascia al successore il conto dei rifiuti da pagare
C'è una pessima sorpresa per chi diventerà sindaco di Roma dopo l'elezione a inizio autunno. Appena arrivato in Campidoglio il nuovo primo cittadino si vedrà portare via dalle casse comunali 100 milioni di euro, non proprio noccioline. Lo scherzetto glielo ha lasciato la sindaca in uscita, Virginia Raggi, che ha lasciato a chi prenderà il suo posto un conto esattamente di quella cifra, che va pagato entro il 31 ottobre prossimo con un bonifico ad Ama, l'azienda municipalizzata che si occupa della raccolta di rifiuti.
Leggi anche: Emergenza rifiuti, la spunta Virginia Raggi nella guerra fratricida. Discarica a Magliano Romano
La sorpresina viene dal bilancio 2020 di quell'azienda approvato mercoledì e reso pubblico ieri. Lì si indica: “in relazione al versamento in conto futuro aumento di capitale sociale da parte del socio Roma Capitale della somma di euro 100 milioni, previsto al punto 12, let. D, della delibera di assemblea capitolina n. 22 del 2 aprile 2021, che sarebbe dovuto avvenire contestualmente all'assemblea di Ama, Roma Capitale provvederà al versamento in tempi idonei a consentire la conversione di detto importo in aumento di capitale entro il mese di ottobre 2021”. Dunque la Raggi ha lasciato un bel conticino da pagare proprio per quel settore- la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti- che ha rappresentato davanti a tutto il mondo il peggiore dei suoi biglietti da visita come sindaco della capitale italiana: un disastro che ha avuto anche momenti più o meno drammatici, che ha segnato la sua amministrazione di Roma in modo assai pesante. Come sapete siamo in piena campagna elettorale, e secondo il più classico dei copioni il sindaco uscente prova a scaricare su altri le responsabilità di quel disastro, secondo il più triste e classico copione della vecchia politica. Ma a quella siamo abituati e quindi non stupisce la tecnica di alzare più polvere possibile in campagna elettorale per cercare di nascondere le proprie manchevolezze. Pace. La Raggi però fa un passo in più, davvero molto oltre il copione tollerabile. Come già aveva fatto a proposito di Atac, un altro suo disastro venduto come successo grazie a una selva di bugie, la sindaca ha provato incredibilmente a mettersi sul petto la medaglia d'oro della risanatrice dei bilanci Ama, sentendosi evidentemente la vera erede iel compianto Sergio Marchionne: “Dopo decenni di gestione opaca finalmente Ama ha i conti in ordine. Oggi è stato approvato il bilancio 2020 con un utile di 28 milioni di euro”. Vi spiegheremo poi come nasce quell'utile, dovuto totalmente al Covid, ma intanto partiamo dal presunto risanamento.
Dopo avere cambiato in cinque anni più amministratori Ama che camicette per le cerimonie ufficiali, la Raggi alla fine ha scelto di affidare l'azienda più disastrosa di Roma (ma la battaglia con Atac è davvero all'ultimo buco) a un amministratore unico, Stefano Antonio Zaghis che con impegno e anche un po' di esperienza di bilanci ha provato a mettere un po' di toppe almeno alla finanza aziendale. Alla fine però i pasticci- che hanno radice antica, è vero, ma sono ben aumentati nei primi quattro anni di sindacatura Raggi- sono stati “tamponati” nel modo più semplice possibile: facendo pagare Pantalone, che in questo caso sono i cittadini romani. Per 3 anni la Raggi ha bloccato l'approvazione dei bilanci dell'Ama impuntandosi su un credito di 18 milioni di euro per i servizi cimiteriali che l'azienda vantava da Roma Capitale e che lei però non voleva riconoscere. Ha mandato via un consiglio di amministrazione dietro l'altro per questo motivo, e ha messo in ginocchio Ama come riconosce lo stesso Zaghis nella relazione che accompagna i conti aziendali 2020, perché con tre anni di bilanci sospesi e non approvati non solo le banche negavano ogni linea di credito, ma hanno pure revocato quelle ancora in essere costringendo l'azienda a rientrare da ogni esposizione. Poi il sindaco di Roma deve essersi accorta che erano alle porte nuove elezioni, ed era necessario risollevarsi da una condizione di gradimento al minimo storico. Così questa primavera come folgorata sulla strada di Damasco che porta alle urne non solo ha cambiato idea sui crediti vantati da Ama nei confronti del Comune, ma ha rinunciato anche ai suoi crediti abbuonando all'azienda dei rifiuti non 18 milioni, ma 106,3 milioni di euro che la città vantava dall'azienda più legittimamente: si trattava degli anticipi concessi sul contratto di servizio e mai restituiti.
Quindi il sindaco ha paralizzato l'azienda per quasi 4 anni e poi all'improvviso ha deciso di pagarle 106,3 milioni di euro più del dovuto quella raccolta dei rifiuti che viene fatta malissimo e che da anni lascia sommersa dalla spazzatura gran parte della capitale. Oltre a quella rinuncia di credito la Raggi ha versato con i soldi dei cittadini 50 milioni di euro di aumento di capitale e ne ha lasciati appunto altri 100 milioni da versare al suo successore. In tutto 256,4 milioni di euro dei cittadini buttati nel cestino dei rifiuti con la faccia tosta di spacciarsi per una nuova Marchionne. Ma quello che proprio è inaccettabile è avere pagato con soldi pubblici per due volte 106,3 milioni di euro per lo stesso identico disservizio garantito da Ama: una cosa da fare venire un attacco di bile a qualsiasi romano.
Veniamo quindi al miracolo dell'utile di 27,8 milioni di euro del bilancio 2020. Qui è semplice: non c'è una sola scelta gestionale ad avere contribuito a realizzarlo. Ha fatto tutto o quasi il Covid. E non è pesato poco l'aiuto indiretto di Matteo Salvini grazie alla sua “quota 100” che ha alleggerito molto i conti dell'azienda. L'anno scorso infatti il fatturato di Ama si è contratto di 7,7 milioni di euro. Ma i costi operativi sono scesi ben di più: 34,7 milioni di euro. Ed è grazie a questi che la partita è tornata in utile. Tagli radicali dell'amministratore? Macché: “dal punto di vista economico”, scrive Zaghis in bilancio, “la situazione pandemica ha fatto registrare una contrazione dei costi di produzione, in particolare con riferimento alle spese connesse alla raccolta e al trattamento dei rifiuti, effetto delle minori quantità di rifiuti prodotte; nonché una riduzione dei costi quali il carburante, causa della riprogrammazione territoriale di alcuni servizi istituzionali, le utenze e i costi generali. La riprogrammazione dei servizi e il diffondersi del virus hanno avuto impatti anche sul costo del personale nell'esercizio 2020, che si contrae rispetto al 2019 di 10,3 milioni di euro”. Nessuno è stato mandato via, quindi le politiche aziendali non c'entrano. Ben 5,6 milioni di euro di costo del lavoro è stato ridotto grazie ai pensionamenti attraverso quota 100 che non erano stati previsti e grazie alle riduzioni degli straordinari che con il Covid, i lockdown e le attività ridotte non erano più necessari. Il resto del risparmio è venuto grazie a un decreto di Giuseppe Conte che ha posto a carico dell'Inps e non dell'Ama le assenze per “malattia-quarantena-isolamento fiduciario”. Essendo usciti per conto loro andando in pensione anticipata Ama ha anche risparmiato mezzo milione di euro stanziato per gli scivoli all'esodo non più necessari.
Grazie al Covid l'azienda ha risparmiato 2,6 milioni di euro di carburante, poi 1,9 milioni di euro di bollette gas ed energia elettrica, e 3,4 milioni di euro anche grazie alla gestione in smart working della raccolta della Tari. Altri 4,2 milioni di costi sono stati risparmiati raccogliendo meno rifiuti grazie a lockdown e zone rosse e arancioni. E infine 5,5 milioni di euro di incassi non previsti sono arrivati da Atac che ha pagato ad Ama la Tari pregressa sulle strisce blu. Non una sola di queste voci è dovuta alla gestione dell'azienda. E tanto meno può essere merito della Raggi che si è messa quella ingiustificata medaglia sul petto.