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La rivolta grillina sulla giustizia è già finita: la riforma non ci piace ma nessuno è disposto a rompere

Luigi Frasca
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Non sarà la riforma della giustizia a mettere a rischio il governo. A scandagliare fonti parlamentari del Movimento 5 Stelle emerge, questo sì, un diffuso malpancismo sui punti che riguardano la prescrizione, ma anche la consapevolezza che non ci sono le condizioni per lanciare «aut aut». D’altra parte anche la ministra delle Politiche Giovanili, Fabiana Dadone, ha aggiustato la mira rispetto alle dichiarazioni in cui parlava esplicitamente di dimissioni dei ministri M5s dal governo, se non si fosse trovata la quadra nella maggioranza. «Sono stata fraintesa, non è nel mio stile minacciare alcunchè». Il punto è che l’autorizzazione a porre la fiducia sulla riforma, chiesta e ottenuta dal premier Draghi al Consiglio dei Ministri, ha ribaltato il tavolo delle trattative, mettendo in difficoltà gli eletti Cinque Stelle. Che continuano, nella stragrande maggioranza a dirsi contrari alle nuove norme sulla prescrizione, ma fra i quali sono pochi quelli che arriverebbero all’estrema ratio di sfiduciare il governo. «Non si vedono barricate in allestimento», spiega una fonte parlamentare M5s bene informata: «Sono dieci, forse 15 gli eletti che non voterebbero la fiducia. Non di più».

 

 

A riportare i Cinque Stelle a più miti consigli sarebbe stata la mossa di Draghi sulla fiducia, dunque. Ma non solo. Ha pesato, spiegano ancora fonti parlamentari Cinque Stelle, anche la posizione del Partito Democratico. «La riforma della Giustizia è fondamentale per riuscire a finalizzare bene tutti i fondi europei del Pnrr», dice il segretario del Pd Enrico Letta: «Noi abbiamo fatto in queste ore il lavoro necessario, e lo continueremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni, per trovare i necessari aggiustamenti per arrivare a un’intesa la più larga possibile. Dopodichè il governo credo che metterà la fiducia perchè è importante che questo provvedimento arrivi a un’approvazione della Camera prima della pausa estiva. È fondamentale perché noi dobbiamo dare all’Europa, che ci ha dato tantissimi soldi, la dimostrazione che siamo seri nel fare le riforme. Se non facessimo una riforma della Giustizia, credo che sarebbe una mancanza di serietà assoluta. Dobbiamo impegnarci in questa direzione». In ogni caso, Letta si mostra tranquillo, dice che «il governo non scricchiola» e sottolinea che «di fronte a passaggi complicati» come quello della riforma della giustizia, «è naturale che ci siano delle discussioni». Il Partito democratico plaude, quindi, a una riforma «coraggiosa e innovativa» che «affronta questioni irrisolte da tempo», dice la capogruppo alla Camera.

 

 

Non ci si nasconde, certo, che sul tema della improcedibilità «serve un intervento», ma da qui a evocare dimissioni di massa ce ne passa: «Credo che in questa fase ci voglia calma ma anche la consapevolezza che siamo a uno snodo epocale». Il terzo e, forse, decisivo elemento ad aver raffreddato gli animi dei Cinque Stelle è stato quello del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in una lettera inviata al vicepresidente del Csm, David Ermini, ha invitato a rallentare e ripensare l’iter del parere-stroncatura sulla riforma, il cui approdo al plenum del Csm era previsto per la prossima settimana. Per il Capo dello Stato, il Consiglio deve pronunciarsi sull’impianto complessivo della riforma Cartabia e non sulla sola improcedibilità. Nonostante questo, pronosticano fonti parlamentari del Pd, i malumori e le fibrillazioni nella maggioranza non finiranno con il voto sulla riforma: la tesi è che alla base delle dure prese di posizione dei Cinque Stelle - ma anche della Lega e d’Italia Viva - ci siano le imminenti elezioni d’autunno nei Comuni.

 

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