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Furia di Sergio Mattarella sul dl Sostegni: inserito di tutto, niente picconate al governo

Carlo Solimene
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Io ci sono. E continuerò ad esserci fino all’ultimo giorno del mio mandato. È questo il messaggio che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha mandato esplicitamente alla politica nel giorno del suo ottantesimo compleanno e alla vigilia dell’inizio del semestre bianco. Se qualcuno immaginava un capo dello Stato ormai impegnato a pensare al dopo o «depotenziato» da un mandato in scadenza, deve ricredersi. Perché Mattarella ha intenzione di esercitare le prerogative che la Costituzione gli affida fino a quando potrà. E questo deve servire da monito soprattutto a chi, tra i leader e in Parlamento, immaginava una sorta di imminente ricreazione nella quale poter picconare un governo rimasto «orfano» del suo pigmalione. Sono stati due i gesti con i quali l’inquilino del Colle ha reso esplicito questo messaggio. In primis la firma apposta al dl Sostegni bis, accompagnata però da una reprimenda al Parlamento che ha gonfiato il testo con 393 commi aggiuntivi, spesso a dir poco fantasiosi.

 

 

L’emergenza Covid, per fronteggiare la quale era stato varato l’ennesimo decreto, per il Presidente non può giustificare che si deragli dal dettato costituzionale. Stop, quindi, a emendamenti che con l’emergenza c’entrano poco. Come, cita il Presidente, quello sui «treni storici della Fondazione FS Italiane». Ma è necessario - e qui arriva anche una tirata d’orecchie all’esecutivo, «un ricorso più razionale e disciplinato alla decretazione d’urgenza». Una simile richiesta era stata già recapitata ai presidenti delle Camere lo scorso settembre, quando nel Milleproroghe entrò praticamente di tutto, ma in questo momento il richiamo acquisisce un valore ancora più simbolico. Mattarella minaccia di non firmare più provvedimenti così eterogenei e insensati. Altro che Presidente in attesa della «pensione». «Per quanto riguarda le mie responsabilità - scrive - valuterò l’eventuale ricorso alla facoltà prevista dall’articolo 74 della Costituzione nei confronti di leggi di conversione di decreti-legge caratterizzati da gravi anomalie che mi venissero sottoposte».

 

 

Il secondo gesto significativo è rappresentato dalle indicazioni recapitate al vicepresidente del Csm David Ermini sul parere da dare alla riforma della Giustizia della ministra Cartabia. Un disegno di legge che l’organo di autogoverno della magistratura ha di fatto già bocciato ma esprimendosi solo sulla parte relativa alla riforma della prescrizione. «La ministra della Giustizia - spiega Ermini - ha infatti chiesto al Consiglio superiore il parere su tutti gli emendamenti governativi presentati in Parlamento, e dunque è necessario che il Consiglio non ometta di esprimersi su tutti gli aspetti della proposta del governo, circostanza che potrebbe assumere il significato di valutazione di ridotta importanza o di implicito consenso su tutti gli altri temi non trattati nel parere sull’improcedibilità». Il presidente Mattarella pertanto, ha concluso il vicepresidente del Csm, ha ritenuto opportuno che «sia posticipata, anche solo di pochi giorni, l’iscrizione della pratica all’ordine del giorno del plenum». Il parere definitivo slitterà probabilmente ad agosto, comunque dopo che il 30 luglio la Camera avrà votato la prima fiducia sulla riforma. Un assist comunque gradito al governo. Ennesima dimostrazione che chiunque vuole picconare Draghi non ha fatto i conti con l’inquilino del Colle.

 

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