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Il Movimento 5 Stelle minaccia la crisi di governo sulla giustizia. Pd terrorizzato, mediazione disperata

Donatella Di Nitto
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«Il governo non scricchiola». Enrico Letta ostenta ottimismo, consapevole che sulla riforma della giustizia le tensioni in maggioranza non sono ancora del tutto superate. «È naturale che di fronte a passaggi complessi ci siano discussioni, questo è un passaggio complesso come lo sono stati altri e lo saranno altri», spiega il segretario del Pd. Il tema è ancora rovente e il timing dettato dal premier Mario Draghi, pur aperto a modifiche tecniche, ha come orizzonte quello della fiducia al ddl sul processo penale entro la prossima settimana. I margini di manovra sono, almeno per il Movimento 5 stelle, limitati. L’impianto non si tocca - è il mantra ripetuto sia dal presidente del Consiglio che dal Guardasigilli Marta Cartabia - anche perché si parla di aggiustamenti rapidi e indolore, che a larga parte dei pentastellati non soddisfano. È infatti il ministro per le politiche giovanili, Fabiana Dadone, a far alzare i decibel di discussione nell’esecutivo. «Ci aspettiamo in questa settimana una discussione costruttiva in termini di miglioramenti, poi vedremo le decisioni da prendersi», spiega. E alla domanda se sul tavolo di Draghi potrebbero arrivare le dimissioni dei ministri Cinque stelle, se la riforma passasse senza le modifiche, Dadone risponde: «Credo sia una cosa da valutare assieme a Giuseppe Conte. È un’ipotesi che sicuramente bisognerebbe valutare».

 

 

 

Parole che sanno di avvertimento e che irrompono in una difficile trattativa che lo stesso Giuseppe Conte sta portando avanti e lo dimostra la sua presenza a Montecitorio per tutto il pomeriggio di ieri. Una mediazione è possibile? «Ci stiamo lavorando», taglia corto il "quasi" leader 5 stelle. E Dadone è costretta a rettificare: «Non è nel mio stile minacciare, quindi respingo al mittente i titoli apparsi in tal senso, ma è nel nostro stile dialogare e confrontarci. Lo stanno facendo Draghi e Conte che sono due persone di alto profilo e sono certa troveranno punti di incontro. Ho fiducia nella politica e meno nel gossip». È indubbio che le distanze tra Conte e Draghi sul tema sembrano incolmabili. La richiesta dell’avvocato pugliese è di gran lunga superiore a quanto il premier è disponibile a concedere. È per questo che in Consiglio dei ministri è stato proprio "mister Whatever it takes" a chiedere l’autorizzazione della fiducia ai ministri seduti a palazzo Chigi, e nessuno ha fatto un passo indietro, anche i pentastellati hanno approvato, votando all’unanimità la strada tracciata da Draghi.

 

 

Ormai la spaccatura nel Movimento è evidente, con un numero corposo - si parla di una ventina parlamentari - di contrari al governo. Tra questi Giovanni Vianello, che ieri non ha votato la fiducia sul decreto Semplificazioni e che probabilmente sarà espulso. Gli animi sono agitati e per Conte sarà difficile portare come risultato un accordo troppo al di sotto delle aspettative. Di contro a farne le spese potrebbe essere l’alleanza con il Pd, soprattutto in vista delle amministrative. Dal Nazareno è stato costruito un ponte, ora bisognerà capire se i 5 stelle siano disponibili a percorrerlo. Intanto l’approdo in aula alla Camera della riforma Cartabia è fissato per il 30 luglio. La commissione inizierà a votare la prossima settimana con un Ufficio di presidenza convocato per lunedì mattina. La decisione del presidente Mario Perantoni arriva dopo la richiesta di Forza Italia di «discutere l’eventuale allargamento del perimetro del ddl sul processo penale ai reati contro la Pubblica amministrazione. La loro richiesta è stata motivata dalla esclusione di emendamenti ritenuti inammissibili proprio per la materia», precisa. Per ora la carne al fuoco è tanta e per far ritirare i quasi mille emendamenti dei pentastellati il tempo rischia di essere tiranno.

 

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