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Braccio di ferro sulle zone gialle. Mario Draghi è scettico, barricata delle Regioni

Antonella Scutiero
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Si cerca la mediazione sul nuovo decreto Covid che dovrebbe entrare in vigore lunedì modificando i parametri per il passaggio da un colore all’altro, regolare l’uso del Green pass, e prorogare lo stato di emergenza fino a fine anno. Le Regioni, sulla spinta delle più piccole che avendo meno strutture ospedaliere rischiano a loro dire di essere penalizzate da criteri considerati restrittivi, hanno proposto di portare il limite massimo di occupazione dei posti letto per restare in zona bianca al 20% per le terapie intensive e al 30% per i reparti ordinari. «Si tratta di proposte che facciamo al Governo, in un’ottica di collaborazione istituzionale», assicura il presidente Massimiliano Fedriga, anche «alla luce dell’attuale contesto epidemiologico - caratterizzato da un aumento dell’incidenza ma da una bassa occupazione dei posti letto ospedalieri - e dalla progressione intensa della campagna vaccinale». Proposte però che il governo, soprattutto l’area più rigorista, considera «troppo lontane» dalle raccomandazioni del Cts - che invece fissava i parametri rispettivamente al 5% e al 10% - di cui si sta tenendo conto nella scrittura del nuovo decreto: bisogna trovare un punto d’incontro che potrebbe essere quello di far scattare il passaggio in zona gialla con più del 10% dei posti occupati in terapia intensiva e più del 15% o al massimo 20% dei reparti ordinari.

 

 

I contatti sono frequenti, il varo del testo, atteso mercoledì, è già slittato di un giorno: oggi dovrebbe riunirsi in mattinata la cabina di regia per trovare una linea comune, prima dell’ultimo confronto con le Regioni e il via libera in Cdm, dopo il quale il premier Mario Draghi dovrebbe tenere una conferenza stampa per spiegare i contenuti del testo ma soprattutto lanciare un nuovo appello per la campagna vaccinale, invitando nuovamente i cittadini a mostrare senso di responsabilità. Bisognerà prima trovare una linea comune, nell’esecutivo e con le Regioni, dove emergono ancora alcuni distinguo. Sul green pass per esempio frena la Lega, con Matteo Salvini che torna a chiedere «gradualità» perché non si può «escludere per decreto da domani 30 milioni di italiani dalla vita sociale». In queste ore, avvisa il leader del Carroccio, «mi sto confrontando con Palazzo Chigi, con Giorgetti, con le Regioni, con i sindacati, con tutti, perché la tutela della salute è al primo posto ma c’è anche la tutela del diritto al lavoro, allo spostamento, quindi mi auguro non ci siano scelte draconiane, improvvise, imponderate».

 

 

L’ipotesi su cui si lavora è che il green pass con doppia dose - in caso di una sola somministrazione, servirà il referto di un tampone effettuato entro le 48 ore - consenta l’accesso a eventi sportivi, spettacoli, discoteche, fiere e congressi, permettendo così la ripresa di attività al momento ferme. Il documento (all’inizio con una dose) servirebbe anche ad accedere in zona gialla nei ristoranti con tavoli al chiuso: punto, quest’ultimo, su cui si è lavorato soprattutto in vista dell’autunno, anche se il governo starebbe valutando di utilizzarlo anche nelle zone bianche, lasciando libero invece il consumo all’aperto e al banco. Slitta invece la decisione sui mezzi pubblici come bus e metro: impossibile guardando i dati - è il ragionamento fatto - imporre fin da ora il green pass con doppia dose per l’utilizzo da parte dei cittadini. Il tema sarà affrontato con un altro provvedimento, in vigore non prima di settembre, lo stesso che potrebbe garantire agli studenti vaccinati di continuare a frequentare le lezioni in presenza anche in caso di focolai e che potrebbe contenere indicazioni sulla forte raccomandazione o addirittura l’obbligo per docenti e personale scolastico di vaccinarsi. Ma per quello Draghi vuole ancora osservare l’andamento dell’epidemia.

 

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