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Domani faccia a faccia Draghi-Conte. Giuseppi cerca l'intesa e prepara lo strappo sulle riforme

Donatella Di Nitto
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Il premier Draghi vedrà Giuseppe Conte domani alle 11 a palazzo Chigi e non sarà un incontro di normale routine. Insomma difficile immaginare che il faccia a faccia rientri in quelli «periodici» che il presidente del Consiglio ha con i leader di partito. Anche perché l’avvocato pugliese ufficialmente ancora non lo è. Inoltre l’ex capo della Bce non vede Conte dalla cerimonia della Campanella a palazzo Chigi (era il 13 febbraio scorso), giorno dell’insediamento del suo esecutivo, mentre con Letta, Salvini e Tajani gli aggiornamenti sono stati continui e diversi. Complice del mancato confronto sicuramente il travaglio interno del Movimento 5 Stelle e il silenzio di Conte, che dopo aver lasciato la guida del governo è stato impegnato a gettare le basi della rinascita pentastellata. Ma dopo l’ok al ddl Cartabia, quello che riforma il processo penale e mette in soffitta la prescrizione firmata dall’ex guardasigilli Alfonso Bonafede, l’incontro si è reso necessario. Nel suo interno il Movimento è spaccato e il via libera dei ministri (Patuanelli, Dadone, Di Maio e D’Incà) senza battere ciglio ha solo aggravato le tensioni. L’ex premier ha detto a chiare lettere che la riforma va cambiata, minacciando il voto contrario in Parlamento, tuttavia quando si troverà di fronte a mister «Whatever it takes» di certo non potrà che confermare il «sostegno del Movimento all’esecutivo», pur rimarcando che non si può «calpestare» l’operato di una realtà che conta la maggioranza relativa nelle due Camere e che ha preso un «impegno» con milioni di elettori.

 

 

Conte lo ha ripetuto anche ieri: «Nel 2018 il Movimento ha ottenuto la fiducia di oltre 10 milioni di italiani ed è diventato la prima forza politica in Parlamento grazie agli impegni presi con gli elettori. Questi impegni in parte li abbiamo già mantenuti, realizzando gran parte delle riforme che avevamo promesso. E che oggi non possiamo lasciare che vengano cancellate». Il leader in pectore è lungimirante, sa che dopo la prescrizione toccherà al Reddito di cittadinanza, già nel mirino di Matteo Renzi. La misura certo va migliorata, ma non annientata anche perché come leader appena insediato non può presentarsi al primo banco di prova delle amministrative senza avere nulla in mano. Insomma il professore di diritto privato cercherà un punto di caduta. «Siamo quelli che vogliono processi veloci, ma non accetteranno mai che vengano introdotte soglie di impunità e venga negata giustizia alle vittime dei reati», è il mantra. Il premier, tuttavia, non intende retrocedere e ripeterà a Conte che la rapidità dell’approvazione è fondamentale per l’Italia e per la credibilità del Paese in Europa. Sul ddl Cartabia si fondano le basi della rinascita stessa del Paese e cedere per allungare i tempi significa correre il pericolo di rinviare a dopo l’estate il provvedimento, con il rischio dell’effetto devastante della campagna elettorale. E questo non è nei piani del presidente del Consiglio. Per Draghi sulla prescrizione una mediazione accettabile è stata già raggiunta in Consiglio dei ministri e, riformulato l’articolo 14 (giunto in commissione Giustizia della Camera con testo sbagliato), il disegno di legge può andare tranquillamente all’esame dell’aula. Inoltre concedere ulteriori modifiche al testo autorizzerebbe Forza Italia a scongelare gli emendamenti e rivendicare le proprie posizioni.

 

 

Per ora l’asse Pd, FI, Lega e IV regge in commissione, grazie alla comune volontà ritrovata di far approvare entro l’estate la riforma e alla condivisa fedeltà al governo. La data è quella del 23 luglio, dl semplificazione permettendo, dopodiché sarà l’emiciclo a doverlo consegnare al Senato, indenne. Se è vero che i 5 Stelle hanno dichiarato battaglia minacciando il voto contrario o l’astensione sarebbe pronta la mossa della fiducia per mettere tutti nell’angolo e richiamare anche ministri e sottosegretari alle proprie responsabilità, a fronte del consenso unanime dichiarato in Cdm. Di Maio ostenta ottimismo: «Se in questa riforma ci sono visioni differenti, come è io confido e sono sicuro del fatto che si potrà trovare una mediazione per continuare a portare avanti tutte le riforme che ancora servono», ricordando che «ci arrivano 25 miliardi come antipasto a fine luglio solo perché il piano è stato promosso e perché abbiamo dimostrato di fare le riforme». Attenzione quindi a far saltare il tavolo, è l’avviso ai naviganti.
 

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