Green pass, perché può diventare obbligatorio anche per bar e ristoranti. La drastica sentenza
In Francia quasi due milioni di persone hanno preso appuntamento per il vaccino dopo che Macron ha annunciato l’obbligo del certificato Covid per accedere a bar, ristoranti, teatri, centri commerciali e mezzi pubblici. Una misura draconiana – e ai limiti dell’incostituzionalità - ma ritenuta l’arma impropria necessaria per salvare le vacanze estive e l’economia e per scongiurare una ripresa esponenziale dei contagi in autunno.
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L’Italia della politica, specchio ormai conforme agli umori sui social, si è già divisa tra i guelfi e i ghibellini del vaccino. Le obiezioni non sono peregrine: si passa da “il green pass nei ristoranti è un’idea demenziale. Chi dovrebbe controllarlo, i camerieri? E a che titolo? O in alternativa mi devo trovare I poliziotti mentre mangio?”, a “se lo Stato impone un trattamento sanitario obbligatorio, anche se è dichiaratamente ignoto l'effetto a medio e lungo termine, il cittadino è costretto a scegliere tra la morte civile certa ed un possibile danno biologico permanente”. Dall’altra parte della barricata, si leggono argomentazioni altrettanto lapidarie: “Se per difendere in nome di non so cosa la libertà di non vaccinarsi degli egoisti ignoranti a ottobre saremo costretti a richiudere tutto con relativa catastrofe sociale, culturale ed economica, io vi saluterò e con il mio green pass mi trasferirò in Francia”.
Cerchiamo di fare chiarezza partendo da un dato oggettivo: in Italia il piano vaccinale del commissario Figliuolo si sta dimostrando eccellente, ma può essere seriamente vanificato da quasi tre milioni di ultrasessantenni ancora indecisi, e la mobilitazione di medici di base e farmacisti rischia di non essere sufficiente, perché l’autunno è vicino, insieme alla riapertura delle scuole, considerata il maggior fattore di rischio. E se non è percorribile la strada del green pass obbligatorio alla francese per le motivate obiezioni di chi la ritiene una inaccettabile misura illiberale, che metterebbe peraltro a repentaglio consumi e ripresa turistica, almeno per i 200 mila insegnanti ancora non vaccinati introdurre l’obbligo come per gli operatori sanitari non dovrebbe essere considerato un’eresia.
A questo proposito, rileggere la giurisprudenza costituzionale può essere d’aiuto: c’è una sentenza abbastanza recente della Consulta, firmata nel 2018 dall’attuale ministra Cartabia, in cui si stabilisce che “il legislatore può scegliere le modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo".
La sentenza si inserisce in un solco ormai consolidato in materia di vaccinazioni, secondo cui l’articolo 32 della Costituzione “postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività. Quindi una legge impositiva di un trattamento sanitario non è incostituzionale se il trattamento è diretto non solo a preservare lo stato di salute del singolo cittadino, ma anche a tutelare lo stato di salute della collettività.
Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici" e il loro "contemperamento lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo".
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Uscendo dal giuridichese, spetta al governo e al Parlamento decidere, sulla base delle evidenze epidemiologiche, gli strumenti ritenuti più idonei per evitare un nuovo aumento esponenziale dei contagi. Salvini, uscendo dall’incontro con Draghi, ha fatto capire che il premier non è incline alle soluzioni più estreme come quelle francesi. Ma il green pass è già utilizzato in alcuni ambiti, come i matrimoni, le Rsa, gli stadi e gli eventi. Una terza via è dunque possibile per uscire dalla logica guelfi-ghibellini.
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