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Il grande bluff del reddito di cittadinanza. Tridico certifica il fallimento della misura: beneficiari inoccupabili

Filippo Caleri
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Il padre del reddito di cittadinanza, il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, svela con i suoi numeri il fallimento della misura che avrebbe dovuto consentire a chi non ha lavoro di trovarlo. Illustrando il rapporto annuale sull’attività dell’Istituto di previdenza ha spiegato che due beneficiari su tre dell’assegno sociale non sono immediatamente rioccupabili. Tradotto: il 66% di chi riscuote mensilmente l’assegno, al lavoro non ci pensa proprio. Probabilmente non ha nemmeno i requisiti per essere impiegato per situazioni oggettive ma l’ammissione di Tridico conferma quanto chiaro dall’inizio. E cioè che il «Reddito» in realtà è stato sempre uno strumento di sostegno alla povertà. Un beneficio economico sacrosanto per aiutare chi si trova in uno stato di difficoltà ma sempre spacciato dalla politica del M5s come uno strumento di inserimento lavorativo. Niente di più lontano dalla realtà. I due terzi dei 3,7 milioni di beneficiari della misura, pari quindi a 2,4 milioni d’individui, non risultano presenti negli archivi Inps degli estratti conto contributivi negli anni 2018 e 2019, e sono quindi distanti dal mercato del lavoro «e forse non immediatamente rioccupabili» ha spiegato Tridico. Il restante terzo, che invece risulta presente, rivela in media un reddito pari al 12% delle retribuzioni annue medie dei lavoratori del settore privato in Italia, e solo il 20% ha lavorato per più di 3 mesi nel corso del periodo precedente all’introduzione del sussidio, dipingendo quindi un quadro di considerevole esclusione sociale per gli individui coinvolti dalle misure.

 

 

Certo l’ottimismo non manca in casa Inps. Le opportunità di creare nuovi posti, da offrire a chi ha un reale interesse a lavorare, non è remota. L’istituto di via Ciro il Grande vede, infatti, segnali di ripresa, dopo questo anno e mezzo di pandemia. «Oggi i segnali di ripresa sono incoraggianti, robusti, sta a noi trasformarli in elementi strutturali di crescita e di vero rilancio, in particolare attraverso politiche inclusive e sostenibili», ha detto Tridico che ha nuovamente confermato come il Reddito di cittadinanza si sia configurato come strumento chiave contro gli effetti nefasti della pandemia sul sistema produttivo.

 

 

«L’impatto della pandemia ha avuto effetti differenziati sui lavoratori, proprio in relazione alle diverse coperture assicurative. Gli strumenti di sostegno al reddito, il Reddito di cittadinanza (fortunatamente introdotto prima della fase pandemica, e rafforzato nella sua copertura dall’introduzione temporanea del Reddito di Emergenza), l’indennità di disoccupazione (NASpI) e la Cassa Integrazione in deroga (introdotta in contemporanea con il decreto di chiusura dei settori produttivi non essenziali) hanno rappresentato una tutela contro il peggioramento delle condizioni di povertà e deprivazione nel periodo della crisi», ha proseguito. Per ora se non ci sono nuovi posti quelli salvati sono tanti. «I posti di lavoro preservati con il blocco dei licenziamenti nel periodo marzo 2020-febbraio 2021, rispetto alla fisiologia del mercato del lavoro come documentata dai dati statistici disponibili, possono essere valutati in circa 330.000 e per oltre due terzi riconducibili alle piccole imprese (fino a 15 dipendenti). Si tratterà ora di vedere come evolverà tale saldo al seguito della rimozione del blocco dei licenziamenti». Intanto il Reddito resta in piedi. E per chi rischia il posto sta per arrivare una rete di sicurezza sociale tutta nuova. Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando ha spiegato che la riforma degli ammortizzatori sociali ha «come obiettivo estendere e rendere universali le tuteli a chi non ne ha, avere un sistema più equo è interesse generale, la riforma è uno snodo cruciale e siamo alla stretta finale, il confronto sta continuando in maniera positiva, chiusa la riforma si aprirà un confronto con le parti sociali sulle pensioni».

 

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