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Giustizia, l'emergenza è la riforma della giustizia civile

Pietro De Leo
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Giustizia civile, ovvero, zavorra italiana, negli investimenti e nelle dinamiche economiche, che alimenta scoramento nelle imprese e sfiducia presso i cittadini. L'ultimo «Scoreboard», ossia rapporto valutativo sui vari sistemi giudiziari comunitari elaborato dalla Commissione Europea e presentato nella settimana appena trascorsa parla chiaro: il nostro Paese è ilpenultimo nell'Ue per i tempi della giustizia civile. In Italia per arrivare a sentenza nel terzo grado di giudizio 1302 giorni, dunque più di tre anni, 791 per il secondo e 531 per il primo. Tutti sommati, i tre gradi superano i sette anni. Un'infinità, quindi.

Sul primo grado, dove fanno peggio di noi soltanto i greci, con 637 giorni, la Commissione ha certificato un allungamento, a fronte di una lieve diminuzione (poca cosa, considerando la lunghezza dell'intero percorso) del secondo e del terzo grado. Quest' ultimo, peraltro, ci vede nella poco onorevole posizione delle lumache d'Europa. Il quadro, peraltro, risulta ancor più chiaro se lo incrociamo con altri dati. Sono quelli del Cepej, la commissione per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa. Secondo un suo studio, infatti, nel 2016 il numero di casi in sede civile pendenti in Italia ogni 100 mila abitanti era del 71% superiore rispetto a quello della Francia, del 157 se rapportato alla Spagna, del 406 nei confronti della Germania. Numeri,

insomma, da deriva quasi kafkiana e ginepraio tra avvocati e carte bollate. Un contesto generale più che problematico. E contestualmente alla presentazione del rapporto dei giorni scorsi, il Commissario europeo competente Didier Reynders ha annunciato che l'Esecutivo comunitario monitorerà l'avanz am ent o verso gli obiettivi che il nostro Paese si è fissato con il Pnrr, ossia per quanto riguarda il processo civile, ridurre i tempi del 40% (25% penale). Il raggiungimento di questo traguardo, ha aggiunto, porterà un «effetto positivo sull'economia e sull'attrazione di investimenti esteri».

Proprio su questo tema, infatti, insiste da anni l'Aibe, associazione italiana delle banche estere, che ogni anno elabora un indice, in collaborazione con il Censis, che calcola l'attrattività italiana per gli investimenti stranieri. Ebbene, l'indice diffuso nel 2020 assegna all'Italia 44,4 punti, in una scala che va da zero a cento. Va bene che l'abbattersi del Covid ha stravolto la nostra economia, ma va detto che, tra le cause che «spaventano» gli imprenditori stranieri a mettere le loro fiches sul belpaese, itempi della giustizia civile sono il secondo più gettonato, doPo il carico fiscale e prima del carico normativo e burocratico. Una triade che compare costantemente al vertice delle rilevazioni, segno di quanto il tema riscuota una considerevole sensibilità.

Lo scorso anno, peraltro, uno studio di «The European House-Ambrosetti» aveva persino provato a quantificare la quota di investimenti che potremmo vedere impiantati sul nostro Paese: fino a 170 miliardi. Non proprio come un'altra quota del Recovery, ma quasi. Quanto metter mano al tema sia fondamentale, poi, lo sottolineava anche la parte dedicata all'Italia dell'Economic Outlook dell'Ocse: «Le priorità - scriveva l'organizzazione - sono attuare gli investimenti pubblici e le riforme della giustizia civile, ridurre la burocrazia e la complessità fiscale, sostenere la concorrenza e aumentare l'efficienza delle politiche di formazione e inserimento lavorativo».

Una giustizia civile più rapida, quindi, migliorerebbe le relazioni economiche nel nostro Paese. E tradotto in Pil? A questo aveva pensato uno studio di Confesercenti. Se l'Italia si avvicinasse ai tempi della Germania, che conclude l'intero iter processuale in poco meno di due anni e mezzo, potrebbe recuperare 2,5 punti di pil e 130 mila posti di lavoro. Confesercenti, peraltro, sottolineava come ad essere maggiormente danneggiate da questo stato di cose sono le imprese di minori dimensioni, perché la lunghezza dei procedimenti civili aumenta il costo impiegato per far rispettare i contratti. E sottolineava, poi, come una sorta di «effetto domino» si ripercuotesse pure sull'accesso al credito. Le banche, infatti, sarebbero più propense ad erogarlo qualora la giustizia garantisse maggiore protezione del credito.

«Nelle province dove il sistema giudiziario è più efficiente - recitava ancora quell'analisi vi è minore razionamento del credito e l'accesso delle piccole imprese ai finanziamenti bancari è più agevole». Il discorso dei tempi, e come visto l'ammontare delle cause pendenti, si lega anche ad un altro tema, ossia il «tasso di litigiosità» registrato in Italia. Che è molto alto. In un anno si aprono circa 4 procedimenti ogni 100 abitanti, il 35% in più rispetto alla media degli altri Paesi che appartengono all'Ocse.

Anche se su questo esistono varie scuole di pensiero. Le associazioni degli avvocati, infatti, escludono che da questo tasso dipenda l'ingolfamento degli arretrati, imputandolo piuttosto alla capacità organizzativa dei presidenti di Tribunale. Ma non è finita, perché il quadro assai desolante della giustizia civile in Italia interviene anche su un altro, annoso, problema, ossia le differenze tra Nord e Sud. L'ufficio parlamentare di bilancio realizzò un report nel 2016, dal titolo «L'efficienza della giustizia civile e la performance economica». Da cui emerse una doppia velocità nello smaltimento delle cause a seconda del territorio. Per esempio: a Patti (Sicilia), per arrivare a conclusione una causa impiega un tempo dieci volte maggiore rispetto ad Aosta. Con tutte le conseguenze che la valanga di numeri su cui ci siamo tuffati in queste righe rende facilmente immaginabili.

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