in bilico
Riforma giustizia, Mario Draghi a Beppe Grillo: "Costretto alle dimissioni". La telefonata e l'aut aut del premier
"Costretto a dimettermi". E' questo il pesante retroscena che salta fuori sulla riforma della Giustizia: Mario Draghi, prima del faccia a faccia in Consiglio dei ministri, avrebbe telefonato a Beppe Grillo per avere rassicurazioni sulla riforma della giustizia del Guardasigilli Marta Cartabia che sta lacerando il MoVimento Cinque Stelle. L'ex premier Giuseppe Conte dopo giorni di tensione è tornato a parlare attaccando proprio la riforma del governo
Il volto dell'ex presidente del Consiglio è tirato, lo scontro con il comico-guru ha lasciato segni evidenti. Ha accettato la mediazione ma senza accantonare del tutto l'idea di mettersi in proprio: "La leadership è una premessa per tutto quello che verrà fatto dopo - spiega ai giovani industriali -. È indispensabile chiarire questo passaggio, chiarire bene il contorno e i ruoli. Da questo punto di vista c'è un progetto statutario che si accompagna anche a quello politico. Nell'ipotesi in cui venisse pienamente condiviso, io ci sono. Altrimenti no". Chi ha orecchie per intendere, intenda. Il garante, dopo il video dello scorso 30 giugno, in cui smorza i toni rispetto al post del giorno prima, in cui scrive di Conte che "non ha visione politica, né capacità manageriali, esperienza di organizzazioni e capacità di innovazione", è rimasto in silenzio. Politicamente, però, c'è.
Ed è a questo punto che il gioco si fa duro e scatta la richiesta del premier ai partiti: leali in aula. Il "Fatto quotidiano" rivela - senza ricevere smentita - di una telefonata del co-fondatore con Draghi per parlare di riforma della giustizia. La stessa che Alfonso Bonafede boccia senza appelli: "Rischia di trasformarsi in una falcidia processuale che produce isole di impunità e che, comunque, allungherà i tempi dei processi", scrive l'ex Guardasigilli su Facebook. Punzecchiando anche i suoi compagni di partito: "Purtroppo, il M5S è stato drammaticamente uguale alle altre forze politiche nonostante fosse trapelata la volontà di un'astensione. Nell'unanimità improvvisata (in Cdm, ndr) si è inevitabilmente e oggettivamente annacquata una battaglia durata dieci anni". Le ricostruzioni - si legge poi in un'altra indiscrezione su La Stampa - si concentrano soprattutto su un momento, quel momento particolare, in cui vengono messi da Draghi di fronte alla responsabilità di poter innescare una crisi di governo: "Se non passa la riforma - scrive Giannini - sarò costretto a mettere nelle mani del presidente della Repubblica le mie dimissioni".