Sì alla riforma della giustizia. Draghi media, passa la proposta Cartabia: baruffa in cdm
Via libera alla riforma Cartabia della giustizia penale ma con tempi più lunghi per i processi relativi ai reati contro la Pa, come corruzione e concussione, per cui l’improcedibilità arriverà (come per gli altri reati gravi) dopo 3 anni in Appello e 18 mesi in Cassazione. È la sintesi di una mediazione portata avanti da Draghi e Cartabia che vede salva la linea pentastellata, ma fa storcere il naso a Forza Italia e Iv e vede il via libera unanime alla riforma al termine di una riunione tesissima del Consiglio dei ministri. Dopo ore di incertezza, i cinque stelle avevano annunciato l’intenzione di astenersi sul lodo Cartabia che prevede la prescrizione processuale dopo due anni in Appello e un anno solo in Cassazione: il testo sarebbe comunque passato ma con un evidente frattura all’interno dell’esecutivo, tanto più grave su un tema così delicato che riguarda una delle riforme complementari al Pnrr, richiesta dall’Europa e necessaria all’erogazione dei fondi da parte di Bruxelles.
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Era stato proprio Draghi, d’accordo con la Guardasigilli, a imprimere un’accelerazione all’approvazione della riforma così da rispettare il cronoprogramma stilato. Uno sprint però che ha suscitato il malcontento M5s su un tema caldissimo per il Movimento già alle prese con le proprie tensioni interne e senza una linea unica fino all’ultimo minuto. Prima una riunione tra i ministri pentastellati, poi anche con Cartabia e Draghi, con la rappresentazione al premier di malessere generale su questo e altri provvedimenti. Non sfugge infatti che di fronte alla crisi interna dei cinquestelle che rischiava di rallentare l’agenda del governo - come sulla Rai, dove il voto in parlamento per l’elezione dei rappresentanti del nuovo Cda è stato rinviato alla prossima settimana - il premier abbia voluto mandare un messaggio chiaro, spingendo sulle riforme e lasciando trapelare l’intenzione di procedere con le nomine di competenza governativa lunedì nell’assemblea degli azionisti di viale Mazzini. Ma ieri a palazzo Chigi i pentastellati hanno espresso il proprio malcontento, portando a casa la disponibilità del premier a venire incontro alle proprie richieste sui reati contro la Pa. Oltre un’ora e mezza dopo le 17, orario di convocazione ufficiale del Cdm, la riunione è cominciata con la disponibilità del M5s a votare il testo, riservandosi la possibilità di ulteriori miglioramenti tecnici in parlamento, dove la riforma dovrebbe emendare il testo Bonafede, fermo in commissione Giustizia e atteso in aula il prossimo 23 luglio.
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A quel punto però Forza Italia ha chiesto uno stop della riunione per valutare le modifiche proposte. Chi era presente alla riunione racconta della forte irritazione di azzurri e renziani, che hanno annunciato la volontà di lavorare a possibili modifiche in Parlamento, stigmatizzando «il metodo del cambio last minute del testo solo a fini demagogici», e la contrarietà espressa all’inserimento della corruzione tra i reati che prevedono tempi processuali allungati. In questo scenario è rimasta defilata la Lega, impegnata, viene spiegato dal Carroccio, per la mediazione con il M5s e per trovare un’ampia convergenza con le altre forze politiche, «esattamente come sta avvenendo per il Ddl Zan» e l’intervento già nei giorni scorsi nell’interlocuzione con via Arenula per limare il testo ed evitare la scomparsa dell’opzione del carcere in caso di reati gravi come associazione per delinquere e corruzione. Nonostante ciò, viene raccontato, ci sono stati momenti di scontro nel corso della riunione, con la perplessità di leghisti, forzisti e renziani sulla mediazione raggiunta. Alla fine è stato ancora Draghi a intervenire ponendo fine alla discussione, chiedendo se tutti i ministri erano pronti a sostenere la riforma, dimostrando compattezza anche nel passaggio parlamentare. Una richiesta a cui nessuno si è opposto, approvando così i testi all’unanimità.
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