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I tweet non bastano più, Salvini rilanci con un congresso. Il terribile rischio per il centrodestra

Luigi Bisignani
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Caro direttore, se continua con queste scaramucce, il centrodestra rischia di fare la fine dei grillini. Non basta asfaltare la sinistra solo nei sondaggi e vedersi riconosciuta ragione su tutto, dalla giustizia al fisco, dalle alleanze internazionali all’Europa, senza una linea politica comune che prescinda dai tweet e dalle ossessive foto su Instagram. Silvio Berlusconi sembra ancora il più lucido quando propone una nuova alleanza online tuttavia è da Matteo Salvini che ci si aspetta lo scatto di reni per far tornare la politica italiana con la P maiuscola. Con Giorgia Meloni ancora troppo presa dall’ubriacatura dei sondaggi e dalla ricerca di una classe dirigente, Salvini dovrebbe avere il coraggio di indire, dopo le amministrative, un Congresso Nazionale della sua Lega; non tanto per riconfermare la leadership, quanto per fissare in un documento programmatico le linee-guida per i prossimi sette anni. Sarebbe un errore non farlo per non contarsi, se si trincerasse dietro a scuse quali regolamenti e statuti interni perché i vari cavalli di razza, da Zaia a Giorgetti, da Fontana riconoscono in lui il leader indiscusso che li ha fatti rinascere.

 

 

I grandi statisti prima di lui, da Fanfani a Moro, da Craxi a Berlinguer, insegnano che c’è stato sempre bisogno di un documento approvato da un congresso che indicasse e legittimasse la visione della società a cui aspiravano. Salvini dovrebbe prima di tutto evidenziare che sull’Europa ha vinto. La fortuna elettorale della Lega, infatti, nasce anche dal rifiuto delle rigide regole di bilancio europee scritte da ciechi burocrati a Bruxelles e ritualizzate e canonizzate dal solito Pd, che le aveva interiorizzate al punto da farne il fondamento del suo progetto politico. La pandemia ha smascherato tali assurdità e la Bce ha fatto l’inimmaginabile, ha cominciato a comprare i titoli di Stato emessi in deficit. Il limite invalicabile del 3% è stato travolto registrando il 9,5% nel 2020 e l’11,8% nel 2021. Una vittoria strategica per chi, come Salvini, aveva invocato flessibilità di bilancio e «superamento delle regole sul deficit». La pandemia ha trasformato quella che sembrava un’eresia in un pensiero dominante: «Non si può tornare alle vecchie regole di bilancio» dice oggi Draghi seguito da francesi e spagnoli.  Idem sull’immigrazione: Salvini è stato deriso e indagato perché chiedeva l’applicazione di una normativa concordata a livello europeo, come d’altronde oggi auspicano un po’ tutti. Per non toccare l’argomento giustizia, su cui si sta spendendo con grande coraggio.

 

 

Eppure Matteo non sembra accorgersi della vittoria, esibisce rosari e madonnine che infastidiscono il Vaticano né che il dibattito si è già spostato sul dopo, su cosa fare dell’enorme debito accumulato e se la Bce dovrà o meno monetizzarlo. Non si accorge neppure che quando David Sassoli propone la cancellazione del debito viene crocifisso da un Pd ancora fermo a Maastricht e ai suoi riti. Ma non si accorge, soprattutto, che Draghi si muove su una direzione che in sostanza è la sua. L’attuale premier non ha un partito, sebbene dovrà avere una base parlamentare che lo aiuti nel post-emergenza quando i «falchi» ricominceranno a volare contro Draghi e il Pd sarà tentato, come è nel suo Dna, dai vecchi discorsi di austerità. Salvini ora ha l’occasione di riconoscere la vittoria e di diventare il perno della politica economica italiana ed europea, con la fortuna di avere Mario Draghi dalla sua e il Movimento 5 Stelle in liquefazione accelerata. Ma per fare questo non basterà una diretta Facebook, serve un congresso vero, preceduto da conferenze programmatiche, nelle quali la strategia post pandemia venga elaborata e discussa. Un congresso nel quale si scelga una collocazione atlantica e si decida che rapporti avere con Cina, Russia e Usa, con Orban e la Le Pen, in quale famiglia europea andare, quali alleanze possibili (Renzi? Grillini orfani? Meloni? Brugnaro-Toti oltre a Forza Italia?). E ancora, prendere una posizione netta sui rigurgiti di una destra estrema per togliere un argomento alla solita sinistra da salotto, decidere anche che fare sul federalismo che Zaia porta avanti con intelligenza. Non in ultimo, scegliere un candidato unico di tutto il centrodestra per il Quirinale. Un momento di dibattito e di scelte chiare, nel quale una classe dirigente coinvolta dalla base si candidi consapevolmente, e non per casualità, alla guida dell’Italia. Tralasciando le bagatelle su quale ruolo debba avere la Licia Ronzulli di turno, che mette zizzania nei gruppi parlamentari cincischiando tra zio Silvio e il Capitano. Un proverbio popolare dice «Non basta essere fortunati. Bisogna anche avere la fortuna di rendersene conto».

 

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