Virginia Raggi perde la maggioranza a Roma. Ora si dimetta e se ne vada per dignità
Arriva il momento della dignità di fronte al crollo di tutto. Ed anche Virginia Raggi deve fare i conti con la realtà. Basta con l’agonia del Campidoglio. La città è davvero stanca. Altri quattro consiglieri comunali della già indebolita maggioranza della sindaca hanno mollato il gruppo Cinque stelle in assemblea capitolina. Donatella Iorio, Enrico Stefano, Angelo Sturni e Marco Terranova hanno concluso clamorosamente e praticamente a fine mandato, l’esperienza nel Movimento. I quattro da tempo si erano detti contrari alla ricandidatura di Virginia Raggi, chiedendo una scelta unitaria con il centrosinistra. La sindaca si ritrova ora con una maggioranza di soli 20 voti, incluso il suo, in un’Aula di 49 eletti. Ma dove pensa di poter andare?
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La Raggi non governerà più niente. E in questa situazione, dal sindaco della Capitale d’Italia ci aspettiamo il massimo rispetto anzitutto nei confronti dei cittadini romani. In una posizione iperminoritaria sarebbe abbastanza ridicolo continuare con la guerra tra regione Lazio e comune di Roma, ad esempio. Meglio, molto meglio, le dimissioni – proprio per dignità – e l’arrivo di un commissario per portare la città alle elezioni del 10 ottobre. È anche la ragion politica che lo esige: qualunque atto di questa amministrazione comunale rischierebbe di avere conseguenze catastrofiche con la prossima che uscirà dal voto popolare. Un contenzioso che non finirebbe mai dal punto di vista amministrativo. Un’eredità gravissima. Del resto, la Raggi ha già trascorso cinque anni pieni da sindaco, dopo l’elezione del 2016. E se si arriva ad ottobre è perché le comunali sono state rinviate in tutta Italia a causa della pandemia. Ma pensare di restare in sella a dispetto dei numeri sarebbe davvero un fuor d’opera. Tanto più che rischia di essere cacciata dalla sua poltrona da un voto di sfiducia in aula, che isterizzerebbe ancora di più il già infuocato clima politico alla vigilia delle elezioni.
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Certo, non l’ha aiutata, proprio adesso, lo scontro interno al suo movimento politico tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Ma si tratta della parabola che prima la portò al trionfo del 2016 ed ora alla rovinosa caduta delle prossime elezioni. A poco servirà strillare ai complotti, perché i consiglieri che dovevano sostenerla li ha persi tutti lei per strada, uno dopo l’altro, incluso il suo presidente dell’assemblea capitolina, Marcello De Vito, che l’ha sgambettata passando addirittura in Forza Italia. In cinque anni di mandato – oltre a un gran numero di rimpasti di giunta – Virginia Raggi è stata abbandonata da ben dieci consiglieri comunali su 29. E questo qualcosa dovrà pur significare. Da una parte e dall’altra, sul fronte delle opposizioni di destra e di sinistra si assicura che ci sarà una mozione di sfiducia. E curiosamente l’unico ad auspicare di non mandare a casa la Raggi è Carlo Calenda, che forse teme che ad avvantaggiarsi della crisi della sindaca – ai fini del ballottaggio – possa essere il suo rivale di sinistra Roberto Gualtieri: «La Raggi va sconfitta alle elezioni – dice Calenda - se viene buttata giù con manovre di palazzo non è il modo giusto».
Manovre di palazzo? Non si capisce davvero di che parli Calenda, visto che sembra dire alla sindaca di non muoversi da lì nonostante non abbia più i numeri per governare. Quella sì che sarebbe una manovrona di palazzo… Se non ci sarà lei, arriverà un commissario, e magari finirà anche questa odiosa guerra dei rifiuti per ragioni di scontro politico tra la sindaca e il governatore Nicola Zingaretti. Aveva suscitato tante speranze dopo il suo insediamento, questa giovane donna arrivata in Campidoglio dopo la cacciata di Ignazio Marino; ma le ha deluse tutte, non riuscendo ad imprimere forza al cambiamento. Ma se un terzo dei consiglieri comunali eletti in forza del suo successo la mollano al suo destino, non se la può più prendere con quelli di prima, come ha fatto per anni. Dal 10 ottobre, nella galleria di «quelli di prima» ci sarà anche lei. Meglio andarsene direttamente con un gesto dignitoso.
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