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Lega e Forza Italia partito unico, le ragioni strategiche della fusione

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Andrea Amata
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Silvio Berlusconi è stato per anni il federatore del centrodestra, intuendo con anticipo che la maggioranza silenziosa del Paese aveva bisogno di riconoscersi in una proposta politica organizzata e attrezzata ad indicare un progetto alternativo alla sinistra. Il Cavaliere, indicando l'orizzonte del partito unico, conferma quell'acume grazie al quale venne avviato il bipolarismo in Italia che conferì trasparenza contrappositiva al duello politico. Il leader degli azzurri ha individuato in Matteo Salvini l'erede di un patrimonio politico che non va disperso nell'angusta competizione a destra che rischia di estraniare la fluttuante componente moderata che determina l'esito di ogni contesa elettorale.

La dichiarata defezione di Giorgia Meloni, al progetto di unificazione esortato da Berlusconi, non deve dissuadere i processi di trasformazione nell'alveo del centrodestra. Intanto, si potrebbe procedere con la federazione tra leghisti e forzisti per fecondare l'embrione di una gestazione politica che si completerà alle prossime elezioni, generando una semplificazione del formato politico. Dunque, la prospettiva della fusione non sarà il prodotto della estemporaneità, ma la conclusione di un percorso ragionato per accasare il comune sentire della maggioranza del popolo italiano in una area omogenea e coerente con il quadro delle alleanze sovranazionali. Chi accusa l'operazione simbiotica fra la Lega e Forza Italia di manipolazione numerica, come fosse una mera sommatoria algebrica, per sterilizzare l'imminente sorpasso di Fratelli d'Italia sul Carroccio, dimostra una scarsa lungimiranza politica.

Finora la dinamica competitiva tra Salvini e la Meloni si realizza nel quadro di una stabilità complessiva dei numeri, perché se la Lega flette nei consensi in favore di FdI il fenomeno si chiama "travaso" con la somma delle due entità che rimane immutata. In tale quadro di commutazione elettorale, in cui i numeri si spostano nell'ambito dello stesso perimetro, si trascura il pilastro centrista dell'alleanza che partecipa alla compiutezza del profilo politico del centrodestra.

La Lega e Forza Italia hanno entrambi una vocazione produttivista e possono superare le apparenti divergenze nel rapporto con i riferimenti partitici europei con Salvini persuaso dal graduale ingresso nel Ppe. L'antieuropeismo, con la più grande frazione del Recovery Fund (209 milioni) a nostra disposizione, non avrebbe senso ed è fondamentale godere di buoni uffici a Bruxelles affinché la massiva dote finanziaria non venga vanificata dalle difficoltà implementative del Pnrr. E con la crisi che potrebbe acuirsi nel post-Covid, generando nuove sacche di povertà, mine sociali pronte a detonare e risposte populistiche esacerbate dal malessere diffuso, non si possono correre rischi sull'utilizzo esaustivo delle risorse del Next Generation Eu.

Le recenti elezioni regionali francesi hanno fotografato l'irrilevanza dei lepenisti che, complice il doppio turno del sistema elettorale ed il record storico dell'astensione (66,7 per cento al primo turno e 65 per cento al secondo), non espugnano le regioni a guida neogollista o socialista, precludendo dalla partita per l'Eliseo le ambizioni di Marine Le Pen. Per la Lega svincolarsi dal Front National nel Parlamento europeo può rappresentare una precondizione per dare credibilità al progetto di osmosi politica con Forza Italia e per riconquistare un primato che sia spendibile per guidare il Paese. Diversamente, l'elettorato fluttuante mediano avrà difficoltà a riconoscersi in una proposta che, non comunicando un'identità politica chiara e leggibile, vive nella permanente mobilitazione adrenalinica.

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