Processo al reddito di cittadinanza, così è diventato un mostro da uccidere
Se più di 20 milioni di italiani oggi potrebbero smettere di lavorare senza perdere un euro come dimostra l’efficace inchiesta di Filippo Caleri, è evidente che ci sono gravi distorsioni nel welfare messo in piedi in questa legislatura.
Non sono contrario di principio al reddito di cittadinanza, e anni fa con le mie orecchie sentii Silvio Berlusconi sostenerne la necessità in un periodo di particolare povertà dell’Italia e di grande caduta dei consumi. Il cavaliere non fece mistero del suo piccolo interesse nello sposare a sorpresa quella che già allora era la bandiera del Movimento 5 stelle. Spiegò che dopo la cura lacrime e sangue di Mario Monti il direttore del supermercato di Segrate gli aveva spiegato che i suoi clienti avevano fortemente ridotto gli acquisti, e faticavano perfino ad acquistare pane e latte tutti i giorni. Per Berlusconi questo significava che perfino la grande distribuzione soffrendo avrebbe ridotto gli investimenti pubblicitari, con danni immediati anche alle sue aziende televisive. Era necessario fin dall’inizio della legislatura precedente uno strumento nazionale di sostegno temporaneo alle famiglie contro la povertà. E siccome gli 80 euro di Matteo Renzi non ebbero questa funzione, era giusto mettere a punto lo strumento. Ma è stato fatto male e peggiorato con evidenza durante la pandemia.
Non è stato affatto uno strumento benedetto per affrontare l’anno che abbiamo alle spalle, che -anzi - ne ha evidenziato ancora più le distorsioni, sommando il reddito di cittadinanza a una serie infinita di bonus e interventi di sostegno temporanei. Così è accaduto che invece di favorire come si diceva l’uscita della povertà aiutando l’ingresso nel mercato del lavoro, il reddito di cittadinanza è diventato il principale tappo che ostruisce e distorce quel mercato.
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Bisogna spazzare via la propaganda e guardare la realtà: il reddito che concede lo Stato non è una banale alternativa a lavori umili e sottopagati. Cumulandosi con l’assegno unico per la famiglia appena varato dal governo di Mario Draghi e con il bonus affitto concede un’alternativa assistita che porta in casa 1.600 euro netti al mese, circa 21 mila euro lordi all'anno. Secondo le dichiarazioni dei redditi censiti dall'Agenzia delle Entrate, dentro questo tetto oggi ci sono oltre 22 milioni di italiani. Che se volessero potrebbero dimettersi dal posto di lavoro e vivere tranquillamente a spese dello Stato senza muovere un dito. Una prospettiva golosa, che alletterebbe chiunque non sia nato stakanovista. Chi mai vorrebbe cercare un lavoro con uno Stato così generoso?
Allora prima che quei 22 milioni di italiani si accorgano della possibilità che hanno con il cumulo di sostegni messo insieme negli ultimi anni, è urgente correggere questa incredibile distorsione di un Paese destinato in questo modo proprio a quello che Beppe Grillo sognava: la decrescita felice. Che tale non è, e alla fine genera infelicità e depressione, o peggio ancora spingerà (per non stare con le mani in mano) ancora più quella economia sommersa e in gran parte illegale che resta il solo Pil italiano che sempre se la cava.
Il mix terribile fra reddito di cittadinanza, assegno unico e vari bonus è un mostro che è in grado di fare danni al Paese come non ne abbiamo mai visti. Bisogna ucciderlo ancora nella sua culla, prima che faccia guai davvero irreparabili, e ripensare totalmente il welfare italiano che naturalmente deve esserci, aiutando non solo la vera povertà ma anche il modo di uscirne, invece che sprofondarne come sta accadendo.