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Inchinatevi, parla ancora Indro Montanelli

Francesco Storace
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L'unico consiglio che mi sento di dare - e che regolarmente do - ai giovani è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che s'ingaggia ogni mattina, davanti allo specchio”. Tutti in piedi, è Indro Montanelli che parla e anzi scrive. Anche lui con le tante contraddizioni che ha coltivato, ma con quella dote della libertà assoluta che lo ha portato ad essere osannato ovunque come Il Maestro.

Giornalista di razza, che l’editrice Solferino ha voluto riproporre agli amanti del bel libro e delle appassionanti storie della cultura nazionale, pubblicando «Un italiano contro – il secolo lungo di Indro Montanelli». Ne scriviamo con emozione, sapendo che ogni parola può essere sbagliata in memoria di un grandissimo raccontatore del suo tempo e non solo. Ma talmente libero, che nessuno al mondo avrebbe potuto imporgli di inginocchiarsi a chicchessia. Nella sua storia personale anche quella giovanissima etiope che prese in sposa e che lo portò ad essere praticamente linciato decenni dopo, addirittura imbrattandone le statue erette in sua memoria. Ma tanti sono stati i meriti di un giornalista ineguagliabile per stile e col dono di servire la parola come una pietanza profumata.

Sono passati vent’anni dall’addio di Montanelli a questa terra ed è difficile che il suo nome possa essere dimenticato in una qualsiasi delle redazioni italiane. È stato il meraviglioso cronista del Novecento: attraverso la sua penna il secolo è a disposizione dello storico e del cittadino comune che voglia saperne di più. Protagonista come pochi anche dei teatri di guerra. Non solo l’Abissinia. Ma la Spagna in piena guerra civile, la Polonia invasa dalla Germania, e i Paesi Baltici e la Finlandia sotto il giogo sovietico, sono stati pure raccontati da Montanelli, come ci ricorda il curatore dell’opera, l’inviato del Corriere della Sera Pier Luigi Vercesi. Ogni storia messa nero su bianco dalla sua penna, è valsa a Montanelli l’onore della lettura in quantità industriale quanto a copie vendute, ma anche l’onere delle contestazioni più radicali. Lui sempre al centro della polemica, che sembrava amare come una bella donna.

E quando la sua carriera sembrava giunta al termine - rievoca la copertina di «Un Italiano contro» - «Egli fondò e diresse due giornali, senza mai rinunciare alla sua indipendenza e al ruolo di bastian contrario. Negli anni bui della Prima Repubblica venne preso di mira e gambizzato dalle Brigate rosse. Alla fine, tornò a occupare la sua stanza al Corriere della Sera, il giornale che aveva sempre considerato come la sua "casa"».

Di lui, nel libro dedicato al suo «secolo lungo», scrivono 14 personalità del giornalismo e non solo, che a metterli in fila vengono i brividi: Ferruccio De Bortoli e Paolo Mieli; Pier Luigi Vercesi e Sergio Romano; Antonio Carioti e Gian Antonio Stella; Isabella Bossi Fedrigotti e Fernando Mezetti; Dino Messina e Luigi Offeddu; Beppe Severgnini e Aldo Cazzullo; Donata Righetti e Giangiacomo Schiavi. Testimoni e cantori di un grandissimo, straordinario giornalista.

Montanelli – al tempo d’oggi – non brillerebbe forse per coerenza politica. Ma come tanti, è stato fascista e antifascista, berlusconiano e antiberlusconiano. Ma sicuramente e certamente anticomunista anche quando riceveva applausi interessati da sinistra. Del resto, così spiegava la sua «conversione»: «Io continuo a professarmi uomo di destra: ma la mia destra non ha niente a che fare con quella "patacca" di destra che ci governa». Certamente liberale. Nelle sue citazioni un posto di rilievo lo conquista una frase precisa: «Lo Stato dà un posto. L'impresa privata dà un lavoro».
La capacità di vedere lontano. Quella destra che amò e poi detestò, si è cimentata tante volte nel tentativo di unificarsi. Ci riprova anche oggi. E lui già allora vergò: «Quando anche imponessimo, con tanto di carabinieri e di tribunali, che la lotta politica fosse circoscritta a due soli partiti, o coalizioni di partiti, dentro ognuno di essi si riformerebbero - sia pure col nome di "correnti", o "cespugli" o di questa o quella specie animale o vegetale - i quaranta o cinquanta partiti di oggi». Un profeta o più semplicemente un raffinato conoscitore della politica. E dell’Italia.

Forse, alla destra di oggi che ad esempio si precipita a voler rivoluzionare la giustizia, sarà utile anche un suo straordinario insegnamento legato alle peripezie di un grandissimo giurista come Corrado Carnevale, presidente emerito della Corte di Cassazione e fustigatore delle sentenze facili. L’ammazzasentenze lo battezzarono. Di lui ha scritto Indro Montanelli: «Carnevale ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare».
 

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