Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Figliuolo mette in vendita le finte mascherine di Arcuri

Dario Martini
  • a
  • a
  • a

L’eredità della vecchia gestione della pandemia è ancora pesante. Quando è diventato commissario, Francesco Paolo Figliuolo si è sbarazzato subito delle Primule e ha messo in piedi la capillare rete di centri vaccinali in tutta Italia. Ora che la campagna procede spedita, il generale ha ancora un peso sul groppone di cui liberarsi: 218,5 milioni di mascherine farlocche acquistate dal suo predecessore Domenico Arcuri. Sono sprovviste del necessario marchio CE. Non proteggono dal coronavirus. In pratica, non servono a nulla. Così, il commissario straordinario ha deciso di pubblicare un avviso rivolto a tutti coloro che potrebbero essere interessati ad acquistarle. Perché, anche se non riescono a bloccare il virus, possono comunque essere riciclate e impiegate in altri ambiti industriali. La ricerca di potenziali compratori ha anche un altro scopo. Bruciarle in un inceneritore, infatti, ha un costo importante, che la struttura commissariale gestita da Figliuolo preferisce non far ricadere sull’erario pubblico. Se possibile, quindi, meglio guadagnarci qualcosa.

 

 

 

 

Ciò che colpisce è la quantità enorme di questi dispositivi di protezione individuale inutilizzabili e stipati da più di un anno nei magazzini. Non parliamo di poche decine di migliaia di mascherine. Ma, come detto, di 218,5 milioni. Arcuri le ha acquistate durante la prima fase della pandemia, tra aprile e maggio dello scorso anno. Sono di tre tipi. Il primo è la mascherina in "tessuto non tessuto" (tnt) monouso, per metà in poliestere e per la parte restante in viscosa. È molto lunga e ha due buchi ai lati per farci entrare le orecchie. Chi ha una buona memoria ricorderà che, durante la prima ondata, questi modelli furono spediti anche alla Regione Lombardia. L’allora assessore alla Sanità, Giulio Gallera, le rispedì al mittente, definendole «carta igienica». Figliuolo, adesso, ne mette in vendita 73 milioni, per un peso complessivo di 365 tonnellate. Poi, ci sono le cosiddette «mascherine filtranti». Sono quelle che dovevano essere più alla moda, con la stampa accattivante a colori. Come si legge nella scheda tecnica allegata dalla struttura commissariale, sono in «Spunbond tnt», ovvero in tessuto non tessuto composto interamente da polipropilene. Inoltre, viene spiegato che questo tipo di mascherina «è stata disegnata con diverse geometrie di sagoma per adulti e bambini, realizzata in modo tale da lasciare libera la visuale, garantendo un’aderenza adeguata all’area facciale che comprende bocca e naso, estendendosi oltre la parte inferiore del mento. In ognuna delle due estremità laterali sono ricavate feritoie, funzionali all’assicurazione della mascherina ai padiglioni auricolari, su quattro o cinque opzioni di taglia diverse». Peccato, però, che poco più avanti venga specificato che «non è un dispositivo medico chirurgico, non garantisce la protezione dei suoi utilizzatori dal contagio da agenti patogeni, né garantisce il mancato contagio da agenti patogeni a soggetti terzi». In poche parole, sono comode e colorate, ma col Covid non hanno nulla a che vedere. Di questo tipo, Figliuolo vorrebbe venderne 140 milioni di pezzi (2.021 tonnellate).
Infine, c’è il terzo tipo. Anche queste sono chiamate «filtranti», sono fatte in polipropilene ed elastame, con il nasello in metallo. Ne sono state messe in vendita poco più di 5 milioni, per 94 tonnellate di peso.
Nell’avviso pubblico di Figliuolo, viene spiegato che l’indagine di mercato è «finalizzata a verificare l’interesse da parte degli operatori economici ad acquistare a titolo oneroso l’ingente quantitativo di mascherine di "comunità", prive di marcatura CE (...) che non trovano alcuna possibilità di impiego quali dispositivi di protezione individuale». L’obiettivo è «accertare se tale materiale possa essere oggetto di riutilizzo con differente destinazione d’uso, ovvero se riciclabile attraverso un idoneo processo di trasformazione». Le imprese che volessero acquistare le mascherine hanno tempo fino al 9 luglio. A quel punto, se saranno arrivate le offerte, il commissario avvierà una negoziazione per stabilire il prezzo di vendita.

Dai blog